La “guerra inutile” di Obama
Tra i tanti record per i quali passerà alla storia, Obama rischia di stabilirne uno insuperabile: essere il primo presidente americano a perdere una guerra prima ancora di averla cominciata. Il pasticcio siriano sta raggiungendo livelli imbarazzanti per l’opinione pubblica che vede gli Stati Uniti scivolare verso una deriva di perdita di credibilità internazionale e di debolezza che potrebbe avere gravi ripercussioni in futuro. Il sì strappato al Congresso attenua solamente quella che è stata una rincorsa di questi giorni per recuperare posizioni perdute.
Il problema è che la famosa “dottrina Obama” nessuno ha capito bene cosa sia; neppure Obama. E in questa maniera il presidente americano si sta esponendo ad accuse d’improvvisazione, dilettantismo e mancanza di visione strategica come già era avvenuto in Libia, quando si era incastrato dentro una risoluzione Onu che di fatto contraddiceva gli obiettivi politici che l’amministrazione Usa aveva dichiarato di voler perseguire.
Su Stratfor, una delle riviste guida dell’analisi geopolitica internazionale, George Friedman ha scritto che “la Siria non è stato un problema d’interesse nazionale degli Stati Uniti fino a quando Obama non ha tracciato la linea rossa”. A quel punto vi è stata una “escalation d’importanza” perché la credibilità degli Stati Uniti “si è vincolata a questo limite dichiarato”. La linea rossa tracciata da Obama era rappresentata dall’eventuale uso di armi chimiche da parte del regime di Assad; limite superato il 26 luglio scorso quando, per l’amministrazione americana, il regime siriano avrebbe gasato centinaia di persone in un quartiere di Damasco.
Eppure molti dubbi rimangono, perché gli Usa non sono riusciti ancora a portare prove convincenti che le armi chimiche siano state usate dall’esercito siriano e non dai ribelli. D’altronde, dopo due anni di guerra civile, il regime di Assad è tutt’altro che sconfitto e l’unica cosa che potrebbe farlo cadere è un intervento militare straniero, in particolare degli Stati Uniti. Molti osservatori sono dubbiosi che Assad abbia fatto, non avendone necessità, l’unica cosa che sapeva avrebbe comportato la reazione degli Stati Uniti: cioè superare la linea rossa.
Ma per quanto terribile sia l’uso di armi chimiche, quali sono le ragioni per cui la morale umanitaria di Obama si muove per qualche centinaio di morti e non per gli oltre 100.000 siriani uccisi in due anni dalle armi convenzionali? Uccidere un bambino con il gas nervino è moralmente più deprecabile che ucciderlo con un colpo d’artiglieria?
Il problema è che la teoria della linea rossa è servita ad Obama per difendere la sua immagine di interventista umanitario. Ed è per questo che ora è costretto ad intervenire in Siria e dimostrare che l’uso di armi chimiche c’è stato veramente, anche se su questo pesa come un macigno il ricordo dell’Iraq e dell’inesistente arsenale di Saddam.
Il realismo americano che ha contraddistinto l’azione politica di Bush (pur negli errori commessi) sembra oggi un vago ricordo. Obama si muove inseguendo più l’immagine di se stesso nel mondo che non i reali interessi strategici americani: almeno quelli che dovrebbero essere palesi.
Stephen Walt, su Foreign Policy, ricorda come nessuna delle condizioni fissate da Colin Powell, sottosegretario di Stato ai tempi di Bush, per garantire gli Stati Uniti dal rischio di “inciampare in guerre inutili”, siano state perseguite da Obama: in Siria non ci sono interessi nazionali minacciati, non c’è un chiaro obiettivo da raggiungere (cosa vuole fare Obama? Combattere l’uso di armi chimiche? Rafforzare la credibilità degli Usa? Indebolire un regime dittatoriale? Mandare un avvertimento all’Iran? Tutte queste cose insieme?). Non sono chiare le conseguenze di un intervento militare che sembra fine a se stesso e non c’è una “exit strategy”, visto che non c’è nemmeno una “strategia di entrata”. Non c’è appoggio dell’opinione pubblica americana né sostegno internazionale, tanto che Obama ha dovuto persino incassare il rifiuto del parlamento inglese a seguire lo storico alleato in questa avventura.
Rimane un’ultima questione, la più inquietante: per quale ragione l’America di Obama, dopo aver destabilizzato l’intera area medio-orientale lasciandola poi nel caos (come è avvenuto in Libia e in Egitto), è ora disposta anche a consegnare la Siria in mano a ribelli integralisti sunniti dichiaratamente schierati con Al Qaeda? A quale disegno risponde una strategia così incomprensibile?