Australia e Norvegia svoltano a destra

Australia e Norvegia svoltano a destra. Due vittorie passate quasi inosservate su i media nazionali, ma che rappresentano un chiaro segnale per i movimenti conservatori mondiali. Vince la destra in Australia, dopo sei anni di governo laburista e vince la coalizione di centrodestra in Norvegia. Un filo conduttore lega le due competizioni elettorali: la lotta contro clandestini e immigrazione, la voglia di uno stato poco invasivo, la promessa di un fisco leggero e un fitto programma di liberalizzazioni.

Quelle di Oslo sono le prime elezioni  dopo la strage di Utoya. I norvegesi, com’era ampiamente previsto da tutti i sondaggi, hanno scalzato dal potere il progressista Jens Stoltenberg che li aveva guidati per otto anni, incoronando la coalizione di destra guidata da Erna Solberg. La compagine è composta da quattro partiti: i Democratici cristiani, i liberali e il Partito Conservatore della Solberg. Prendono 96 seggi sui 169 totali (la maggioranza assoluta è di 85), mentre ne vanno 69 alla coalizione di centrosinistra. Sarà presente anche il partito di Anders Behring Breivik: il Partito del Progresso. Questa forza populista anti immigrazione – che prese le distanze dall’assassinio di Utoya – con il 6,6% dei voti ha ottenuto 29 seggi e sarà necessario alla Solberg per avere il controllo del Parlamento.

Le forze di centrodestra raggiungono insieme il 53,9% dei voti. Oslo avrà il primo ministro conservatore dal 1990. Anche allora al governo c’era una donna, Gro Harlem Brundtland, la prima a guidare il paese e ancora ricordata come la “madre della nazione”. I laburisti del premier uscente, Jens Stoltenberg, pur sconfitti restano il primo partito, con il 31%, e la coalizione di centrosinistra si ferma al 40,5%, penalizzata dall’astensionismo: l’affluenza si è fermata al 71,4%, la più bassa dal 1927. I Conservatori sono stati premiati per il loro programma di taglio delle tasse, potenziamento delle infrastrutture, alleggerimento delle regole per la concessione di mutui immobiliari (irrigidite per prevenire una bolla) e maggior coinvolgimento dei privati nella sanità e nell’istruzione.

Nella “Terra dei canguri” è Tony Abbott il vincitore della tornata elettorale. Le elezioni di sabato hanno dato alla coalizione conservatrice un forte controllo della Camera. Abbott si aggiudica 89 seggi contro i 57 dell’altro maggiore schieramento, quello laburista. Rischia invece di essere più ambigua la composizione del Senato, dove sarà decisiva l’opera di mediazione del nuovo governo.

Una delle priorità del nuovo esecutivo sarà quella di tornare nei prossimi 3 anni a un bilancio in attivo, sostenendo nello stesso tempo la fiducia dei consumatori e puntando sulle imprese. La ricetta di Abbott prevede circa 40 miliardi di tagli alle spese nei prossimi 4 anni, fondi per l’istituzione di uno dei programmi di maternità retribuita più generosi al mondo e per il mantenimento del programma laburista a sostegno delle persone disabili. Inoltre, Abbott ha messo in chiaro di voler abolire, forse già nei primi 100 giorni del suo governo, 2 tasse detestate dalle imprese. Da una parte la mining tax, la tassa sui profitti minerari. Dall’altra la carbon tax, in vigore dal luglio dello scorso anno. Quest’ultima – che impone a circa 300 grandi compagnie di sborsare oltre 20 dollari australiani per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa nell’atmosfera – ha sempre visto la dura opposizione dei liberali che l’accusavano di far salire il costo delle bollette.

Uno dei punti principali del programma liberale è la forte opposizione agli sbarchi via mare di clandestini ed è anche uno degli elementi di contatto con il programma del neogoverno norvegese. La rincorsa delle destre parte da tre imperativi: meno Stato, meno tasse, meno immigrazione. Forse è giunto il momento, per i governi “sinistri”, di fare autocritica.

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