Große Koalition Über Alles

“Große Koalition”, sembra questa essere la parola d’ordine che contraddistingue la politica di diversi Paesi del Vecchio Continente. La crisi, prima finanziaria, poi economica, poi ancora dei debiti sovrani e infine sociale, che si ripercuote nella vita di molti cittadini europei attraverso più o meno sensate forme di austerità, sta cambiando considerevolmente le scelte degli elettori. Il più delle volte il risultato finale vede, al netto dell’astensione dalle urne, riconfermare comunque i partiti definibili “tradizionali” ma, numeri alla mano, è innegabile che molti voti si spostano sempre più verso partiti radicali; considerevoli fette di elettorato tendono a non riconfermare il proprio voto ai partiti numericamente più grandi. Insomma il termine crisi non sembra a volte fare rima con bipolarismo, specie (ma non solo) dove i sistemi elettorali sono proporzionali.

Detto ciò, tutto si può dire di Austria e Germania, tranne che siano Paesi in crisi, per lo meno economica, e che stiano vivendo l’austerity come i Paesi del Sud Europa. Basti pensare ad esempio che l’Austria ha il tasso di disoccupazione più basso dell’Unione Europea (4,8%) ed è uno dei 12 Paesi più ricchi del mondo. Ciò nonostante gli esiti che ne sono usciti dalle urne, la settimana scorsa in Germania e ieri in Austria, delineano questa dinamica anche a Nord delle Alpi.

In Austria accade che l’SPÖ, partito social-democratico, e l’ÖVP, partito cristiano-democratico, uscenti insieme da una Große Koalition che dura da 7 anni, portano a casa con le elezioni federali il 27,1% e il 23,8% rispettivamente. Perdono entrambi il 2,2% dalle ultime consultazioni del 2008. Sebbene la grande coalizione a Vienna non sia certo una novità in quanto è stata negli anni la forma di governo più ricorrente negli annali politici, resta il fatto che sia SPÖ sia ÖVP non sono mai andate così male alle elezioni tenutesi dal Dopoguerra a ieri. Record negativo di voti sia in termini percentuali, sia in termini assoluti, con una partecipazione al voto che si ferma al 65,9%, crollando così di quasi 13 punti rispetto al 2008, già piuttosto bassa per le abitudini dell’elettorato austriaco.

Dei 183 seggi presenti nel Nationalrat di Vienna, 53 vanno all’SPÖ e 46 all’ÖVP, grazie ai quali riescono a oltrepassare la tanto temuta quota 92 per garantirsi una maggioranza, ma di soli 7 voti in più. Strada dunque spianata per la riedizione del governo rosso-nero del Cancelliere social-democratico Werner Faymann e del suo Vice cristiano-democratico e Ministro degli Esteri Michael Spindelegger, che abbandona così definitivamente la speranza di fare cambio nei primi due posti della Große Koalition. I Verdi invece, pur ottenendo un buon risultato in crescita con l’11,5% dei voti, rimangono molto sotto le aspettative che lo davano intorno ai 15 punti, tanto che era considerato come probabile alleato di governo qualora SPÖ e ÖVP non fossero riusciti a raggiungere la maggioranza dei seggi necessari a formare una coalizione europeista anti-destre.

L’unico a poter gioire sembra perciò essere Heinz-Christian Strache, leader dell’FPÖ, partito di destra radicale fortemente euroscettico e anti-Euro, che balza al 21,4% poco distante dal secondo partito del Paese. Il “Freiheitliche Partei Österreichs” (Partito della Libertà Austriaco) aumenta così il proprio consenso del quasi 4% sfiorando quota un milione di voti, una parte consistente dei quali provenienti dalla BZÖ, partito fondato dal popolare e compianto ex Governatore della Carinzia Jörg Haider dopo una scissione all’interno dell’FPÖ, che fermandosi a un deludente 3,6% rimane sotto la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale al 4%. Entrano invece per la prima volta nel Nationalrat due nuove formazioni: il “Team Stronach”, movimento di destra populista antieuro e antisistema dell’ottantenne miliardario austro-canadese Frank Stronach che raggiunge quota 5,8%, portando così a casa 11 seggi, e la nuova formazione liberale “Neos”, filoeuropea e sostenuta dagli industriali austriaci che arriva al 4,8% e raggiunge quota 9 seggi parlamentari.

Nel frattempo, rimanendo sempre in tema di “Große Koalition”, accade che in Germania il perdente candidato social-democratico Peer Steinbrück lascia ogni incarico dirigenziale all’interno dell’SPD, rimettendo così al presidente del partito Sigmar Gabriel ogni scelta sul percorso da intraprendere per la formazione di un nuovo governo con la vittoriosa Cancelliera Merkel. L’SPD, che come per ogni partito perdente nella fase post-voto è diviso dalle lacerazioni interne su quale tattica di sopravvivenza adottare fino alle prossime elezioni, vuole coinvolgere i propri iscritti attraverso un referendum interno per convalidare la scelta di formare un nuovo governo con la CDU. Per intanto con venerdì prossimo inizieranno i colloqui ufficiali tra la dirigenza social-democratica e quella cristiano-democratica per la riedizione del governo nero-rosso che ha già guidato la Germania dal 2005 al 2009.

Da Berlino a Vienna insomma tutta la politica interna sembra essere contraddistinta da già sperimentate forme di “Große Koalition”, più per necessità che per volontà.

Comunque la si pensi, l’Europa non sembra di questi tempi essere un continente per bipolaristi.

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