L’uomo che sopravvisse ai sindacati

Da “Il Foglio” di giovedì 18 dicembre 2013.

“Unintimidated” è un termine che non ha un corrispettivo diretto nella lingua italiana. È  l’opposto di “intimidated”, cioè intimidito, intimorito, minacciato. Ed è anche il titolo dell’autobigrafia politica di Scott Walker, il governatore repubblicano del Wisconsin eletto nel 2010 e sopravvissuto, nella primavera del 2012, a un monumentale tentativo di recall in cui i sindacati (e il Partito democratico) hanno investito decine di milioni di dollari, mesi di proteste e manifestazioni – pacifiche e non – oltre al capitale politico accumulato nel corso di decenni. Non in Texas, ma nel Badger State, uno stato che è la culla storica del movimento progressista americano e l’incubatore del sindacalismo a stelle e strisce fin dagli anni di “Fighting Bob” La Follette. Uno stato vinto da Barack Obama nel 2008 con 14 punti percentuali di vantaggio su John McCain, in cui i repubblicani non riescono ad imporsi dai tempi di Ronald Reagan.

Ma cosa ha provocato questa “anomalia”? Cosa ha scatenato la rabbia di sindacati e sinistra? E, soprattutto, cosa ha convinto i cittadini del Wisconsin a riconfermare la loro fiducia in un uomo che una lunghissima e ferocissima campagna di stampa è arrivata a dipingere come un Hitler turbo-liberista con tendenze al cannibalismo? È per rispondere a queste domande, oltre che, con ogni probabilità, per azzardare il primo passo nella costruzione di una possibile candidatura a livello nazionale (forse già nel 2016), che Scott Walker – con l’aiuto preziosissimo di Marc Thiessen, editorialista del Washington Post e già speechwriter di George W. Bush e Donald Rumsfeld – ha scritto questo libro.

Se può accadere in Wisconsin, può accadere ovunque

unintimidated«If It Can Happen in Wisconsin, It Can Happen Anywhere». Se può accadere in Wisconsin, può accadere ovunque. Il libro di Walker comincia con una professione di ottimismo. Atteggiamento raro, sulla rive droite della politica americana, soprattutto perché risale a prima del recente crollo di Obama nei sondaggi, causato dalla disastrosa entrata in vigore della riforma sanitaria. Obamacare a parte, però, Walker snocciola una serie di dati che dovrebbero far riflettere tutte le cassandre che, dopo le presidenziali del 2012 e la controversa battaglia sullo shutdown, discettavano sulla scomparsa imminente del Grand Old Party.

Analisti e commentatori ci descrivono spesso un partito “out of touch”, distante dal sentire diffuso dell’America mainstream e ormai dominato da frange estremiste. Un partito del genere dovrebbe essere ormai ridotto ai minimi termini, mestamente diretto verso l’estizione. Per Walker non è così. E il governatore elenca, a sostegno della propria teoria, una raccolta impressionante di dati.

Dal 2007 ad oggi, nessun governatore repubblicano “incumbent” è mai stato sconfitto in un’elezione. Anzi, negli ultimi quattro anni i repubblicani hanno conquistato la poltrona di governatore in Iowa, Michigan, Ohio, Pennsylvania, Kansas, New Mexico, Oklahoma, Tennessee, Wyoming, North Carolina, New Jersey, Virginia e Maine. Oltre che, naturalmente, in Wisconsin. Il numero di governatori del GOP dal 2008 ad oggi è cresciuto da 21 a 30. Ne mancano solo quattro per raggiungere il record repubblicano di sempre, che risale agli anni Venti del secolo scorso. Quando Barack Obama è stato eletto per la prima volta, i repubblicani controllavano 3.220 seggi nelle legislature statali in giro per il paese. Oggi, due cicli elettorali più tardi, ne controllano 3.826, con una crescita netta di 606 seggi. Perfino alle presidenziali del 2012, che hanno visto la rielezione di Obama, i repubblicani hanno guadagnato seggi in 34 assemblee legislative locali, compresi quattro stati (New Mexico, Ohio, Washington e Wisconsin) vinti dal presidente. Nel 2008 i repubblicani controllavano la Camera locale in 16 stati e il Senato in 20. Oggi ne controllano, rispettivamente, 28 e 29. E possono contare su una maggioranza “a prova di veto” in 16 stati. Quattro anni fa il GOP controllava Camera, Senato e Governatore in appena 8 stati. Oggi questo numero è cresciuto fino a 23. Più o meno la metà dei cittadini americani, insomma, vive in stati in cui il Partito repubblicano ha il pieno controllo sia del potere legislativo che di quello esecutivo.

«Sembrano i numeri di un partito che non è in sintonia con le priorità del popolo americano?», si chiede retoricamente Walker. «La vera domanda è: perché così tanti governatori e parlamentari locali repubblicani continuino a vincere le elezioni, mentre a livello nazionale il partito non riesce ad ottenere risultati analoghi?». La soluzione di questo dilemma, per Walker, è semplice. Mentre Washington resta bloccata in battaglie infinite che vengono spesso giudicate irrilevanti dall’opinione pubblica, i leader republicani a livello statale offrono «grandi e coraggiose riforme» che hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini americani.

«A Washington – scrive Walker – i politici combattono sui “fiscal cliff”, sull’estensione del debito, sui “sequesters”. Nei singoli stati, siamo concentrati su come migliorare le scuole, prenderci cura dei poveri, riformare il governo, ridurre le tasse e la dipendenza dal welfare, come creare più posti di lavoro e più opportunità per i disoccupati». Anche in questo caso, la lista di Walker è impressionante.

In Indiana, il governatore Mitch Daniels ha ereditato un deficit di 800 milioni di dollari e lasciato lo stato con un surplus annuale di 500 milioni, oltre a riserve per 2 miliardi. Il tutto senza aumentare le tasse. Daniels ha messo fine alla contrattazione collettiva per gli impiegati pubblici, privatizzato le strade a pagamento e creato il più grande programma di “school choice” degli Stati Uniti per studenti provenienti da famiglie a basso reddito.

In Louisiana, il governatore Bobby Jindal ha affrontato a muso duro la lunga storia di corruzione nel suo stato con una profonda riforma del codice etico. E contemporaneamente ha eliminato un deficit di 341 milioni di dollari, restituendo ai contribuenti 1,1 miliardi di dollari in cinque anni con tagli delle tasse.

In New Jersey, il governatore Chris Christie ha fissato un tetto del 2 per cento sulle tasse di proprietà. E architettato riforme del sistema pensionistico e sanitario per i dipendenti pubblici che faranno risparmiare ai contribuenti 130 miliardi di dollari (sì, miliardi!) nei prossimi trent’anni. Christie, inoltre, ha portato in pareggio il bilancio per 4 anni consecutivi, senza aumentare le tasse e restituendo ai cittadini 2,35 miliardi in sgravi fiscali per le imprese capaci di creare posti di lavoro.

E ancora. In New Mexico, Susana Martinez è diventata il primo governatore di origini ispaniche nella storia degli Stati Uniti, trasformando un deficit di 450 milioni di dollari in un surplus di 200 milioni. In Michigan, il governatore Rick Synder ha chiuso un deficit di bilancio di 1,5 miliardi di dollari eliminando le tasse sulle imprese (che uccidevano il mercato del lavoro) e abbassando sensibilmente le imposte sul reddito. In Idaho, il governatore Butch Otter ha eliminato la contrattazione collettiva per i sindacati della scuola pubblica e istituito la retribuzione di merito per gli insegnanti.

La riforma di Scott Walker

Poi c’è il Wisconsin. «Quando mi sono insediato come governatore – scrive Walker – il nostro stato doveva fronteggiare un deficit di 3,6 miliardi di dollari e una scelta difficilissima. Potevamo aumentare le tasse o licenziare più di diecimila dipendenti pubblici per chiudere il buco di bilancio. Oppure riformare il sistema corrotto e clientelare della contrattazione collettiva, in cui i boss dei sindacati raccolgono quote d’iscrizione obbligatorie da ogni dipendente pubblico, esercitando di fatto un potere di veto su qualsiasi modifica ai loro stipendi, benefit o condizioni di lavoro. Un sistema che stava portando il nostro stato verso la rovina fiscale».

«In Wisconsin – continua Walker – abbiano scelto la strada della riforma». Con il piano di risanamento del budget progettato dal governatore e approvato dal Parlamento locale, noto come “Act 10”, adesso i dipendenti pubblici devono versare il 5.8 per cento del salario (rispetto allo zero, nella maggior parte dei casi) per i propri contributi pensionistici, oltre a pagare il 12,6 per cento (rispetto al 6) della propria assicurazione sanitaria. Percentuali che restano comunque nettamente al di sotto di quelle abituali nel settore privato. La riforma di Walker mette fine alla contrattazione collettiva, ad eccezione che per i salari di base. E impedisce ai sindacati di raccogliere quote d’iscrizione obbligatorie, permettendo per la prima volta agli insegnanti e agli altri dipendenti pubblici di scegliere se aderire al sindacato oppure no. I singoli distretti scolastici, infine, liberati dalla stretta della contrattazione collettiva, possono ora assumere (o licenziare) gli insegnanti sulla base del merito, oltre a comprare assicurazioni sanitarie sul mercato risparmiando centinaia di migliaia di dollari.

«Grazie a queste riforme – scrive Walker – oggi il deficit di 3,6 miliardi che abbiamo ereditato è diventato un surplus di mezzo miliardo. I distretti scolastici del Wisconsin hanno risparmiato decine di milioni di dollari, che hanno investito per bilanciare i tagli della spesa a livello statale e migliorare le scuole, invece di licenziare insegnanti. Le tasse sulla proprietà sono scese per la prima volta in un decennio. La disoccupazione è in calo. Il rating dei nostri “bond” è solido. E il sistema pensionistico del Wisconsin è l’unico interamente finanziato di tutti gli Stati Uniti. Sembra una riforma guidata dal buon senso, giusto? Ebbene, i boss delle union di Washington e di Madison (la capitale dello stato, ndr) non la pensavano esattamente così».

La furia dei sindacati

La cronaca minuziosa – e a tratti sconfinante nel thriller psicologico – del tentativo con cui i sindacati e il Partito democratico hanno cercato di  opporsi alla riforma di Walker è il cuore pulsante di “Unintimidated”. E lasciamo ai pochi volenterosi che decideranno di leggere il libro (che, azzardiamo, non ha nessuna speranza di essere pubblicato in Italia) il piacere di scoprire le dinamiche con cui questo tentativo è stato pianificato e, contro ogni pronostico, sventato. Gli appassionati di serie televisive come “West Wing” o “House of Cards” scopriranno come la realtà, a volte, può essere più avvincente della fiction.  E come sarebbe meglio esercitare un’estrema cautela nell’affidarsi interamente al giornalismo tradizionale (soprattutto europeo) per provare a comprendere la politica americana. Basterebbe andare a ripescare gli articoli scritti in quei frenetici giorni sulla vicenda da “Süddeutsche Zeitung”, “Le Monde” o “Corriere della Sera” (l’inviato di via Solferino scriveva di un Walker «alluvionato dai soldi dei miliardari conservatori» alla guida di una «campagna pirata»), per rendersi conto della pervasività di questi casi di dissonanza cognitiva.

A fronte della percezione diffusa, però, resta la sostanza dei fatti. Raccontati, naturalmente, dal punto di vista di Walker. «I sindacati si sono immediatamente resi conto  – scrive il governatore – che le nostre riforme erano l’avanguardia di un movimento nazionale grassroot per la riforma fiscale. Un movimento che vola al di sotto dei radar dei mainstream media e che contiene l’unica speranza per una rinascita del pensiero conservatore in America. Hanno capito che questo movimento puntava direttamente a mettere in discussione i loro interessi consolidati. E hanno deciso di reagire, facendo del Wisconsin il “ground zero” della loro controffensiva».

La scelta del Badger State, come abbiamo già accennato, non è stata casuale. Luogo di nascita dei sindacati del settore pubblico nel 1936 e primo stato a permettere la contrattazione collettiva per gli impiegati del governo nel 1959, il Wisconsin non è soltanto un terreno tradizionalmente ostile per i repubblicani, ma è anche la sede di una capitale iper-progressista come Madison, «la Berkeley del Midwest» che l’ex governatore Lee Dreyfus una volta ha definito come «trenta miglia quadrate circondate dalla realtà». Ed è stato proprio in queste “trenta miglia quadrate” che si è combattuta la lunga battaglia politica descritta nel libro.

«Ci hanno lanciato addosso – scrive Walker – tutto quello che avevano. Hanno mobilitato centomila manifestanti per occupare il Wisconsin State Capitol con un sit-in che ha di fatto dato vita al movimento Occupy Wall Street. Hanno trasportato agitatori dall’Illinois, da New York e dal Nevada. Hanno percosso tamburi e soffiato corni di giorno e di notte. Hanno minacciato e sputato a deputati e senatori che cercavano di arrivare sul proprio posto di lavoro. Hanno trasformato un luogo storico in un teatro dell’assurdo. Hanno picchettato la mia casa e quella di tutti gli esponenti repubblicani della legislatura. Hanno importunato le nostre famiglie nelle scuole e nei negozi, cercando di zittirci durante ogni cerimonia o fiera della contea in giro per lo stato. Soltanto per intimorirci».

«Quando queste tattiche si sono rivelate fallimentari – prosegue il governatore – quattordici senatori democratici sono fuggiti dal Wisconsin, abdicando ai loro doveri costituzionali nel tentativo di farci mancare il quorum necessario per far votare la riforma. Quando abbiamo trovato il modo di aggirare il loro ostruzionismo, sono andati nei tribunali per cercare di fermarci. E hanno tentato di impedire la rielezione di un bravo e onesto giudice della Corte Suprema (David Prosser Jr, ndr) solo perché pensavano che avrebbe votato a favore della nostra riforma. Quando anche questo “colpo di stato” giudiziario è andato a vuoto, hanno organizzato il recall di sei senatori repubblicani, totalmente estranei a qualsiasi episodio di malcostume amministrativo, semplicemente perché avevano votato a favore della riforma».

«Quando questo sforzo si è rivelato inutile per riportare il Senato del Wisconsin sotto il controllo dei democratici – conclude Walker – hanno cercato di sbarazzarsi del mio vice. Alla fine, senza più alternative, hanno tentato il recall con me. E hanno fallito». Nella primavera dello scorso anno, Scott Walker è riconfermato governatore del Wisconsin con un distacco sullo sfidante (ancora una volta il sindaco democratico di Milwaukee, Tom Barrett) superiore a quello ottenuto due anni prima.

Una lezione dal Wisconsin

La lezione che arriva da questo stato americano di media grandezza immerso nel Midwest e sferzato dai venti freddi dei Grandi Laghi è una lezione universale. Che mette in luce una verità tanto banale quanto spesso dimenticata. Quando si conduce una campagna elettorale basata su un’idea forte (e possibilmente giusta) e si viene premiati dai cittadini, c’è un modo molto semplice per continuare a vincere: mantenere le promesse. Walker, malgrado ogni avversità – e qualche errore tattico, di cui nel libro non fa mistero – ha confidato nella bontà della sua riforma, convinto che i suoi effetti positivi si sarebbero presto manifestati ai cittadini. Dimostrando di essere in grado di risanare il budget senza doversi inchinare alla «cupa politica dell’austerità». E dimostrando la fallacia del mito secondo il quale, nella politica americana ma non solo, l’unico modo per conquistare il voto del centro consiste necessariamente nello spostare verso il centro le proprie idee.

«La strada per una rivincita conservatrice – scrive Walker – non è quella di abbandonare i nostri principi e le nostre idee, ma quella di impegnarsi per sostenere riforme importanti… trovando il coraggio di portarle fino in fondo». E se può accadere in Wisconsin…

© “Il Foglio”

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