Vietnam, la proposta indecente di Dulles
Questa settimana si è scoperto un dettaglio della storia che era rimasto sepolto negli archivi, nell’imbarazzo di francesi e statunitensi. Nel 1954, l’allora segretario di Stato americano John Foster Dulles, propose ai francesi di risolvere il conflitto nel Vietnam con due bombe atomiche. Il ministro degli Esteri francese, Georges Bidault, non lo prese nemmeno in considerazione. La proposta avvenne nel corso di un incontro a Parigi, non ufficiale. Foster Dulles non aveva neppure avuto l’autorizzazione dall’allora presidente Eisenhower a proporre alla Francia la cessione di armi nucleari, che allora la repubblica d’Oltralpe non aveva ancora. Si trattò dunque di una “sparata” e tale rimase.
Nel 1954 la Francia era ancora una potenza coloniale. Da quasi un decennio era impegnata in una lunga e sanguinosa guerriglia contro i Viet Minh, guidati dal generale Giap. Gli indipendentisti vietnamiti, ormai padroni del Nord del Paese, avevano la guida militare dell’esercito di liberazione. I francesi, nonostante il sostegno militare statunitense, stavano perdendo la guerra. Stavano subendo quella che sarebbe stata ricordata come la loro più disastrosa sconfitta coloniale a Dien Bien Phu. La preoccupazione, negli Usa, era ai massimi livelli, perché se i francesi avessero perso il Vietnam, i comunisti avrebbero preso il potere nel Paese e l’avrebbero trasformato in un altro satellite dell’Unione Sovietica e della Cina, che allora erano alleate e in piena espansione. Il 3 aprile 1954 il Congresso degli Stati Uniti fece sapere al presidente che, a meno di un intervento internazionale che avesse coinvolto anche la Gran Bretagna, le forze statunitensi non sarebbero intervenute in Vietnam. Era finita da meno di un anno la guerra di Corea, contro la Corea del Nord e la Cina e l’opinione pubblica statunitense non avrebbe sopportato un’altra guerra in Asia. Il presidente Eisenhower aveva comunicato a Winston Churchill quali sarebbero state le conseguenze di un’eventuale sconfitta francese in Vietnam. Allora, negli Usa, prevaleva la “teoria del domino”: dopo aver assistito all’assimilazione di tutta l’Europa orientale, poi della Cina e infine alla guerra di Corea, vedevano il comunismo in piena espansione, soprattutto dopo il primo test dell’arma atomica in Unione Sovietica (1949). La caduta del Vietnam avrebbe potuto spianare la via all’espansione del comunismo sovietico e cinese anche nell’Asia sudorientale e magari anche verso l’Oceania. Se né gli inglesi né gli americani avevano voglia di intervenire, cosa rimaneva da fare? L’uso dell’arma atomica appariva come un’opzione militare valida. Per i francesi sarebbe stata una scelta durissima: essendo ancora loro padroni nel Vietnam, si sarebbe trattato di usare armi nucleari sul proprio suolo. E fu questo, più che la paura di un’escalation con l’Urss (che aveva ancora poche atomiche e nessun vettore affidabile per usarle contro gli Usa o la Francia) a indurre il governo di Parigi a scartare del tutto l’ipotesi.
Archiviata sia l’idea dell’intervento, sia quella della bomba atomica, si optò per il negoziato. E si giunse alla famosa conclusione della divisione del Vietnam in due entità politiche: come la Corea e la Germania, un pezzo del Paese (il Nord) andò sotto i comunisti e l’altro (il Sud) a un governo filo-occidentale.
L’episodio della “proposta indecente” di John Foster Dulles è stato ripescato dagli archivi per trarre le solite conclusioni: quanto erano paranoici gli americani (e in particolar modo Dulles), quanto facile era il loro grilletto sulla loro neo-acquisita arma nucleare. Ma andando oltre alle spiegazioni emotive, chiediamoci seriamente: quella americana era solo paranoia? Il resto della storia, dopo la divisione del Vietnam, lo sappiamo tutti: nel 1959 il Nord iniziò a infiltrare a Sud i guerriglieri Viet Cong, nel 1965 furono sul punto di conquistare il Paese e gli Usa dovettero intervenire in modo massiccio. Non riuscendo neppure loro a domare la guerriglia comunista, nel 1973 gli americani si ritirarono. E nel 1975, violando tutti gli accordi, i comunisti conquistarono il Vietnam del Sud unificando il Paese sotto il partito unico. E non solo il Vietnam: la Cambogia finì nell’incubo del regime di Pol Pot (fedele a Pechino) e il Laos sotto una dittatura fedele a Mosca e al Vietnam. Con 21 anni di ritardo si verificò quell’effetto domino che Eisenhower e Dulles temevano. Quella dell’allora segretario di Stato, dunque, non era affatto “paranoia”, ma preveggenza.
Resta, comunque, la brutalità di proporre l’uso di armi nucleari. Ma, anche qui, vediamo un po’ di numeri. Il precedente di 9 anni prima, quello delle due bombe A sganciate su Hiroshima e Nagasaki, aveva provocato la morte di 165mila cittadini giapponesi. L’uso di due bombe nucleari in Vietnam, sulle truppe dei Viet Minh e lontano da ogni città, avrebbe, probabilmente, provocato meno morti, nell’ordine delle decine di migliaia di vittime, quasi tutte militari. Non usando l’atomica e non intervenendo con truppe convenzionali, gli Usa permisero la prosecuzione della guerra vietnamita per altri 21 anni. In questi 21 anni morirono: 1 milione di nordvietnamiti, 700mila sudvietnamiti, 60mila soldati statunitensi, a cui vanno aggiunti 1 milione di vietnamiti (del Nord e del Sud) assassinati dal regime comunista, circa 100mila assassinati dai regimi del Sud e 10mila dai soldati americani nel corso del loro lungo intervento. La vicina Cambogia, coinvolta nell’effetto domino della caduta nel Vietnam, nel solo periodo dal 1975 al 1979, ebbe circa 2 milioni di cittadini assassinati dal regime di Pol Pot, cioè quasi un terzo della sua intera popolazione. L’atomica non è un’arma umanitaria. Ma rispetto a questa ecatombe prolungata, non appare di sicuro come il male peggiore. Anche questa storia dimostra che un regime totalitario in piena espansione è molto più pericoloso della bomba A.