Il 4 giugno a Varsavia e Pechino
Venticinque anni fa, il 4 giugno 1989, il mondo prese due direzioni opposte. Quel giorno di 25 anni fa, in Polonia, si tennero le prime parziali, elezioni multi-partitiche dopo un monopolio politico comunista durato mezzo secolo e otto anni di legge marziale imposta da Wojciech Jaruzelski (morto il 25 maggio scorso, a pochi giorni dallo storico anniversario). Il giorno stesso, in un altro Paese comunista, la Repubblica Popolare Cinese, l’esercito stroncava con la violenza la protesta pacifica di studenti e operai accampati nell’immensa piazza centrale di Tienanmen, a Pechino. Il numero dei morti è tuttora sconosciuto. C’è chi parla di 200 e chi di 7000. In ogni caso, da quel momento in avanti, nessuno ha mai più parlato apertamente di democrazia.
Ieri, per marcare il 25mo, a Varsavia è giunto il presidente statunitense Barack Obama. Per ribadire il suo sostegno alla Polonia democratica, per renderla un “faro di libertà” per la vicina ucraina, ancora alle prese con una dura lotta contro i guerriglieri russi e filo-russi che vorrebbero consegnarne un pezzo a Mosca. La cortina di ferro non è del tutto caduta, si è spostata più a Est e la Polonia, da Paese che dava il nome al Patto di Varsavia sovietico, è diventata la nuova frontiera della Nato. È un Paese liberale, con una crescita economica costante, risparmiata dalla crisi grazie a oculate politiche di bilancio e a un commercio fiorente con tutta l’Europa centrale. Vedere la Polonia oggi e confrontarla con quella di appena 25 anni fa potrebbe confondere ogni viaggiatore: è semplicemente irriconoscibile. Benché mediamente siano ancora più poveri degli italiani, con un reddito che sfiora i 1000 euro al mese, i polacchi sono, ogni anno, un po’ più ricchi dell’anno prima. Il comunismo pare non esserci mai stato: spariti i suoi monumenti, spariti i suoi nomi, scomparsi i suoi simboli, distrutta la sua mentalità. Della storia del comunismo, in compenso, si possono trovare, in Polonia, molti più libri e musei di quanti se ne possano trovare in Italia (dove, paradossalmente, i comunisti non hanno mai governato, ma parlar male della loro storia è ancora un tabù). I conti col passato si fanno liberamente, Jaruzelski stesso era stato processato e il precedente governo conservatore guidato da Kaczinski aveva voluto un’operazione-verità per svelare tutti i collaboratori segreti del vecchio regime. La Polonia è l’unico Paese d’Europa esplicitamente grato ai vincitori, politici e morali, della Guerra Fredda, uno dei pochi che ha dedicato monumenti, vie e piazze a Ronald Reagan, che là è ricordato come il vero liberatore, assieme al leader di Solidarnosc Lech Walesa e al Papa (ora anche Santo) Giovanni Paolo II.
L’esperienza polacca non è unica nel suo genere. La stessa aria di liberazione recente, benessere riconquistato e conti col passato si respira in tutto l’ex “Est Europeo”, dalle Repubbliche Baltiche fino alla Slovacchia. Tallin, Riga, Vilnius, Praga, Bratislava, Budapest, sono tutte città rinate a nuova vita, memori di un passato totalitario che non si vuole nascondere (anzi, sono tutte diventate dei veri memoriali a cielo aperto) e proprio per questo lanciate nel nuovo modello democratico di libero mercato. Mai come in queste città si percepisce un senso di profonda identità religiosa e nazionale e, al contempo, pulsa l’attività di finanza, commercio, moda, turismo e creatività artistica. La “Nuova Europa”, dopo essere uscita dalla dittatura e poi dalla miseria, prima o poi pare debba trainare lo stanco, disilluso e annichilito pezzo occidentale del Vecchio Continente.
Diverso e opposto è il 25mo anniversario del 1989 nella Repubblica Popolare Cinese, il regime comunista riformato ma mai crollato. Tanto per cominciare, ufficialmente, non si ricorda alcun anniversario. La storiografia ufficiale, imposta dal Partito (ancora unico) Comunista Cinese ha cancellato Tienanmen e ne ha ordinato la completa rimozione anche su Internet. Milioni di yuan sono stati investiti nella creazione di filtri e firewall per bloccare ogni informazione che provenga dall’estero. Solo Hong Kong fa eccezione e costituisce, ormai, l’unica piccola spina nel fianco. In un popolare centro commerciale è stato inaugurato un museo dedicato a Piazza Tienanmen, aperto fra le polemiche e i boicottaggi dei negozianti vicini. Hong Kong, ex colonia britannica, è tuttora solo formalmente parte della Cina, ma ha potuto mantenere gran parte della sua legge, che garantisce libertà di espressione. Non si sa ancora per quanti anni possa durare, ma per ora di Tienanmen si parla solo lì. Nel resto della Cina continentale, invece, la settimana che ha preceduto il triste anniversario è stata caratterizzata da una serie di arresti preventivi, di dissidenti e presunti tali, familiari delle vittime, membri del partito troppo condiscendenti. Il regime accetta riforme economiche, ma non cede un solo millimetro del suo potere assoluto politico. Come tutti i regimi totalitari, manipola e riscrive la storia per controllare le masse. Benché si siano fatti costanti passi avanti, anche nella stessa tutela dei cittadini (che hanno ora un po’ di proprietà privata riconosciuta, un po’ più di diritti sul lavoro, limitati diritti di protestare contro l’inquinamento e i sequestri di terreni a fini industriali), benché diversi quadri del Partito siano ex contestatori di Tienanmen sopravvissuti alla purga, la democrazia appare ancora come un obiettivo lontano e irraggiungibile. Il nuovo presidente Xi Jinping lo ha recentemente ribadito: la Cina non deve ripetere l’esperienza dell’Est Europeo, dove il Partito unico ha aperto al voto e meno di sei mesi dopo è stato travolto dalla democrazia. La classe dirigente politica e militare cinese ha paura della libertà, teme che con il suo arrivo il Paese caschi a pezzi.
Eppure la Polonia e tutte le altre nazioni che hanno completato con successo il percorso di liberazione dal comunismo, non sono affatto esplose. Anzi, stanno sempre meglio e costituiscono un’oasi di stabilità. In Cina non sarebbe possibile? Taiwan e Hong Kong, le due isole di libertà nell’Asia orientale, sono abitate dagli stessi cinesi della Repubblica Popolare, eppure sono Paesi che, benché non formalmente indipendenti da Pechino, solo grazie al loro sistema separato, hanno acquisito democrazia, libertà, pieni diritti civili e benessere diffuso. Hong Kong, da un decennio a questa parte è caratterizzata dall’economia più libera del mondo e la sua è una crescita da record, capace di attrarre investimenti miliardari da tutto il mondo. Taiwan ha un Pil pro-capite di circa 39mila dollari. Il resto della Cina Popolare, di 9mila dollari. Non c’è paragone. C’è solo tanta, tantissima paura della libertà. Paura di permettere ai cittadini di vivere bene senza la dipendenza totale dal Partito, come in Polonia, a Hong Kong, a Taiwan.