Gli esami a scuola di Cameron
Chissà se sarà l’economia o meno a salvare David Cameron l’anno prossimo, quando nel Regno Unito verrà deciso il nuovo parlamento. Chissà se ci sarà ancora un Regno Unito dopo il referendum sull’indipendenza scozzese del prossimo 18 settembre. Chissà infine se il reshuffle governativo operato nel mese di luglio da Downing Street sarà servito a recuperare consensi, almeno per tenere lo UKIP sotto il 9%, soglia che garantirebbe – secondo i consulenti di Ed Miliband – una vittoria certa al Labour Party. L’economia dell’isola è quella che ha fatto segnare i miglioramenti più consistenti tra i paesi del G8; i sondaggi dicono che la maggioranza degli scozzesi è contro l’indipendenza, ma il margine non è sicuro e l’alto numero di indecisi lascia intendere che la battaglia è più che mai incerta; nel PM Cabinet ci sono più donne e un avversario ingombrante di meno, l’ex Education Secretary Michael Gove.
Il suo addio obbligato è quello che ha sollevato i malumori più consistenti, anche per la tempistica con la quale è arrivato: Gove e sindacato dei professori erano alla guerra, con la storica Union che aveva proclamato scioperi in tutte le scuole statali del regno nonostante la mozione fosse stata votata da una minima percentuale di iscritti, mentre la maggioranza nemmeno si era espressa a proposito, ma la austere regole dell’organizzazione hanno garantito il via libera alla protesta generale. Inizialmente lo stesso Cameron aveva annunciato che era giunto il momento di rivedere il modus operandi del sindacato, dove in pochi(ssimi) possono scegliere per tutti, ma alla fine Gove se n’è andato e i suoi avversari hanno potuto commentare trionfanti: “Ce l’abbiamo fatta!”. Per i più critici dell’operazione reshuffle, il Primo ministro avrebbe finito involontariamente con l’accreditare il sindacato di una vittoria che non gli appartiene, avvalorando future e probabili mobilitazioni – intanto la stampa più conservatrice, come il Daily Mail, riservava l’epiteto appartenuto a Cameron, “Flip-flop”, a Tristram Hunt, shadow Education Secretary, che era riuscito a criticare e a sostenere contemporaneamente lo sciopero degli insegnanti.
Gove è stato l’artefice delle free school: sono in tutto 200, per la prossima primavera dovrebbe salire a 300. L’intento era di garantire strutture scolastiche valide anche nelle zone più difficili e periferiche, puntando ad una formazione qualificata anche per i figli delle fasce più basse della società britannica, alternativa a quella burocratizzata e sindacalizzata della scuola statale. Gove ha lavorato al progetto per anni, dedicando lo sforzo maggiore da parlamentare durante i dibattiti alla House of Commons e una volta nominato Secretary, aveva promesso che avrebbe colmato il gap classi sociali d’appartenenza e risultati scolastici creato dai laburisti, nonostante le spese sostenute dagli esecutivi di Tony Blair e Gordon Brown, attaccando il sistema inglese e la sua “anti-knowledge culture” e puntando a riformare gli esami finali, fornendo maggiore spazio alle materie scientifiche e matematiche e alle lingue straniere.
Per i detrattori interni di Gove, tra i quali spicca il vice PM, l’ormai anonimo Nick Clegg, l’ex ministro non sarebbe stato in grado di sostenere il proprio piano, passando dalla parte del torto nel dibattito con i critici e fallendo nello sforzo di convincere l’opinione pubblica dei benefici annessi. Per i suoi sostenitori, la detronizzazione è stata l’occasione di lanciare una frecciatina avvelenata a Downing Street: “If the Prime Minister was particularly interested in the education of the less privileged, he might even have fought the next election on the fact that tougher curriculums mean that more pupils are learning rigorous disciplines such as science and languages, and fewer are sitting exams in pretend subjects such as media studies. Just one in eight teachers supported the recent strikes, showing that Mr Cameron was not only winning the argument but was on the cusp of a fundamental transformation in English state education. It would be a shame if a few badly worded opinion polls blinded him to that fact” (The Spectator, 19 luglio)