La Corea del Nord censura un film. In America
Ancora non ci rendiamo conto, di quanto sia grave la minaccia lanciata dalla Corea del Nord agli Stati Uniti, soprattutto per gli effetti che ha causato. In un colpo solo, con qualche click al mouse di un computer, dei bravi “smanettoni” al soldo del regime totalitario più repressivo del mondo hanno potenzialmente cancellato, in un solo giorno, tre secoli di libertà di espressione negli Stati Uniti.
Con un eufemismo tipico degli analisti delle relazioni internazionali, la chiamano “guerra asimmetrica”. Vediamo come si è svolta questa “guerra asimmetrica”, o “guerra informatica”. Nel primo giorno di attacco, alla fine di novembre, i dipendenti della Sony si sono visti minacciare da un gruppo di hacker, chiamati “Guardiani della Pace”, che erano riusciti a entrare nel server dell’azienda. La minaccia era semplice: se non avessero subito “obbedito” ai loro ordini, tutti i dipendenti si sarebbero trovati con i loro indirizzi email, le loro email personali, i loro dati personali, i loro dati più segreti esposti al pubblico ludibrio. Non solo. Hanno percepito chiaramente la minaccia alla loro vita, nel momento in cui i Guardiani della Pace hanno promesso di far la pelle a loro e alle loro famiglie, nel caso avessero insistito a distribuire un film prodotto dalla loro azienda. Dopodiché, gli stessi hacker che hanno piratato il sito della Sony hanno anche promesso di far saltare in aria tutti i cinema in cui quel film sarebbe stato distribuito. La minaccia era seria? Per precauzione, i singoli cinema e le grandi catene delle sale americane hanno consultati i loro avvocati. E la risposta è stata unanime: in caso di attentato terroristico preannunciato, la responsabilità per i risarcimenti sarebbe ricaduta interamente sui proprietari delle sale. Che, di conseguenza, hanno deciso di non proiettare più il film in questione. E allora, anche la Sony ha deciso di non diffonderlo più.
Il “film in questione” è (era) “The Interview”, una commedia grottesca diretta da Evan Goldberg, con Seth Rogen e James Franco. Ottimi attori, per altro. E quindi, di cosa parlava per essere considerato tanto scandaloso? Di due giornalisti che ottengono un’intervista con il dittatore Kim Jong-un e, per questo, vengono assoldati dalla Cia per ucciderlo. La Corea del Nord lo ha considerato come un’offesa non accettabile. D’altra parte il regime comunista ha visto quanto gli islamici radicali siano bravi a imporre la loro censura ovunque nel mondo: nel 2006 sono riusciti a terrorizzare tutti gli editori del mondo per la sola pubblicazione di vignette su Maometto in un giornale danese; nel 2012, dopo aver assaltato il consolato americano a Bengasi e ucciso l’ambasciatore, sono riusciti a dare la colpa a uno sconosciuto video amatoriale che irrideva Maometto e che avrebbe causato la rabbia della “piazza”. Dopo episodi di questo genere e soprattutto dopo aver visto quali sono gli effetti (una maggiore autocensura e più limiti imposti alla libertà d’espressione), gli ultimi irriducibili stalinisti del mondo si sono chiesti “perché noi no?”. Sapevano di colpire in modo sicuro e senza sollevare troppo scandalo. D’altra parte sono loro la parte “debole”, il povero Davide (povero a causa del loro stesso comunismo, ma questo non lo possono e non lo riescono a capire) contro il ricco Golia delle grandi case cinematografiche americane. E quindi si sono sentiti anche moralmente in regola, quando hanno lanciato la più grande campagna di intimidazione totalitaria e mafiosa della storia. Il risultato, appunto, è stato proprio quello sperato: il film è stato censurato. Non solo in Corea del Nord, dove è censurato quasi tutto, ma anche negli stessi Stati Uniti. La responsabilità del regime di Pyongyang non è stata neppure nascosta. Dopo aver negato ogni legame con gli hacker, i dirigenti della dinastia rossa li hanno pubblicamente lodati. Venerdì, l’Fbi ha formalmente incriminato il governo della Corea del Nord dopo indagini approfondite sull’attacco informatico.
La reazione di terrore e omertà diffusa si è verificata proprio come speravano gli aggressori, esattamente come nei precedenti casi di censura islamica, probabilmente anche peggio. Lasciamo perdere quei soliti noti fra i quotidiani di sinistra che hanno dato tutta la colpa al “film demenziale” foriero di rischi sproporzionati (della serie: taci e rispetta il Caro Leader! Altrimenti ci metti tutti in pericolo di vita!). La reazione più incredibile è arrivata da Hollywood. Un isolato quanto coraggioso George Clooney ha fatto circolare una lettera che esprime solidarietà alla Sony, ma nessuno ha voluto sottoscriverla. I cinema che avrebbero dovuto proiettare la prima di “The Interview” hanno avuto un loro attimo di orgoglio quando hanno pensato di proiettare, al suo posto, almeno il vecchio cartone animato “Team America”, un altro lungometraggio in cui Kim Jong-il (padre di Jong-un) fa una brutta fine. Ma niente: temendo ulteriori minacce, hanno deciso di non proiettare neppure quello.
Sembrerebbe tutta una trovata pubblicitaria per promuovere un film comico. E certamente qualche anti-americano incallito, qualche cinico, qualcuno convinto di “saperla lunga”, ne sarà anche convinto. Magari lo fosse. Ma giudicare dalle reazioni a tutti i livelli, politico, diplomatico, giudiziario, poliziesco, questa vicenda non è affatto uno scherzo. Non è un’esercitazione. Non è un’operazione di promozione pubblicitaria. E’ terrorismo politico condotto con mezzi informatici, un attacco di tipo nuovo, su una scala senza precedenti.
Ci manca solo la deportazione nei gulag di James Franco e Seth Rogen, o la fucilazione di Evan Goldberg, e poi il piatto stalinista è servito: la Corea del Nord ha esportato la sua dittatura. Altri tiranni avranno imparato la lezione. Avranno scoperto una nuova dimensione della censura, perché nemmeno Hitler, che di lì a pochi mesi avrebbe invaso l’intera Europa, aveva minacciato atti di terrorismo per impedire che venisse girato, prodotto, distribuito “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin. I dittatori di oggi non hanno la forza di invadere l’America (e nemmeno la Corea del Sud), ma hanno scoperto quanto sia facile ridurla al silenzio.
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