GOP 2016. È il momento di Scott Walker?
Mentre i mainstream media americani sembrano tutti concentrati nello scoprire la posizione di ogni potenziale candidato repubblicano per il 2016 sull’interessantissimo (?) tema dei vaccini, la vera guerra tra gli aspiranti presidenti del GOP si sta combattendo su due livelli paralleli e quasi estranei tra loro.
Il primo livello, più evidente, è quello del posizionamento rispetto alle aspettative dell’opinione pubblica, in particolar modo negli stati che saranno coinvolti per primi nel ciclo delle primarie. Lo scopo, insomma, è quello di piazzarsi in maniera convincente (ma possibilmente non troppo vistosa) nei “brackets” tennistici di Charlie Cook nelle “tiers” di Jim Gerathy e Larry Sabato. A questo serve la partecipazione, soprattutto da parte dei candidati non di prima fila, a eventi come l’Iowa Freedom Summit organizzato lo scorso 24 gennaio da Steve King e Citizens United. A questo serve lo spin sui sondaggi che spuntano incessantemente in queste ore, che siano quelli condotti su base nazionale, su base locale, o addirittura senza alcun metodo scientifico (ma con l’incredibile partecipazione di quasi mezzo milione di persone), come quello organizzato dal Drudge Report nei giorni scorsi. E a questo serve anche la rincorsa all’attenzione, preziosissima, di alcuni dei comunicatori della destra americana che riescono a intercettare prima degli altri gli umori della base repubblicana. Rush Limbaugh è l’esempio più macroscopico.
I più attenti di voi avranno già capito dove voglio andare a parare. Il dominatore incontrastato delle ultime settimane, in questo primo livello della competizione, è stato senza dubbio il governatore del Wisconsin, Scott Walker. La mia opinione su Walker è nota ai lettori – anche occasionali – di The Right Nation. Risale a tempi remoti, meno remoti. E non è cambiata in tempi più recenti.
Ma non è ancora arrivato il tempo di un endorsement ufficiale di questo blog, per tre buoni motivi. Il primo è che Walker non ha ancora ufficializzato la sua decisione di correre per la Casa Bianca. Il secondo è che mia serie storica di endorsement alle primarie repubblicane non corrisponde esattamente a una striscia di vittorie (Forbes 2000, Giuliani 2008, Perry/Gingrich 2012: in pratica porto sfiga). Il terzo motivo è che, una volta saltato definitivamente il fosso a favore di Scott, dovrò fare i conti con l’altra metà di questo blog, Simone Bressan, che – orfano di Romney (anzi, di “Mitt”) – sta pericolosamente sbandando verso la soluzione dinastica rappresentata da Bush III.
Non è ancora tempo di endorsement, dicevo, ma la mia sensazione è questo momento potrebbe arrivare prima del previsto. Perché anche nel secondo livello della competizione, quello del fundraising e dell’organizzazione dei rispettivi team, meno pubblico e più difficile da interpretare – di cui inizieremo ad occuparci nei prossimi giorni – qualcosa di molto interessante potrebbe, lentamente, spostare gli equilibri in gioco.
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