GOP 2016. Le pagelle del decimo dibattito (TX)

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MARCO RUBIO – 8

Dopo il meltdown del dibattito in New Hampshire, Rubio ha sfoderato le sue due migliori prestazioni televisive di questo ciclo elettorale. E la performance del senatore junior della Florida all’Università di Houston, trasmessa da CNN e Telemundo, è probabilmente la sua migliore di sempre. Delizioso lo scambio di battute con il quale è riuscito a ribaltare contro Trump una sua presunta debolezza (R:«Sounds like you’re repeating yourself»; T:«I saw you in a debate a couple weeks ago repeat yourself five times»; R:«I saw you repeat yourself five times five seconds ago!»). Particolarmente efficaci i suoi attacchi al frontrunner su immigrazione (o per meglio dire, sui lavoratori stranieri assunti da Trump), Israele e Obamacare, soprattutto quando effettuati in combinazione con Cruz. Coglie al balzo l’assist dell’ultimo minuto regalatogli da Mitt Romney e attacca anche sui tax return il tycoon newyorkese. Niente di tutto questo, ormai, potrebbe essere sufficiente per danneggiare seriamente Trump, ma tra le pieghe del dibattito di Houston si è intravista l’unica possibilità per il GOP di evitare una resa incondizionata a The Donald: un ticket Rubio-Cruz (Cruz-Rubio mi sembra, oggettivamente, più complicato), se messo in piedi prima del SuperTuesday, potrebbe forse ancora riuscire a respingere l’invasore. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano Cruz e, soprattutto, quel pezzo consistente di establisment del partito che sembra preferire Trump al senatore del Texas. Potrebbe, in ogni caso, essere già troppo tardi.

TED CRUZ – 7+

Una performance molto buona, quella del senatore texano, solo in parte oscurata dall’exploit di Rubio. Se il senatore della Florida sceglie di attaccare Trump mettendolo di fronte alle contraddizioni – logiche – tra le sue dichiarazioni (e azioni) passate e le idee cardine della sua campagna elettorale, Cruz preferisce giocare la carta “emozionale”, cercando di instillare negli elettori repubblicani il dubbio sulla potenziale inaffidabilità di un candidato estraneo, ideologicamente e sostanzialmente – alla tradizione moderna del Grand Old Party. Anche in questo caso, gli attacchi funzionano meglio quando sono sferrati in combinazione con quelli di Rubio. Peccato che i due abbiano speso gran parte della campagna elettorale danneggiandosi l’un l’altro, noncuranti del vantaggio che intanto Trump stava accumulando giorno dopo giorno.

DONALD TRUMP – 6

Quella di Houston non è stata la peggior performance di Trump, ma l’accerchiamento di cui è stato vittima da parte di Rubio e Cruz lo ha messo più di una volta in difficoltà. Niente di irreparabile, probabilmente, vista la sua capacità di rimanere in piedi – apparentemente senza un graffio – dopo gaffe e dichiarazioni che avrebbero messo al tappeto un toro. Anche ieri sera The Donald ha provato a ribattere colpo su colpo agli attacchi degli avversari, in alcuni casi con innegabile bravura. Ma troppo spesso ha scelto di rifugiarsi nel name calling quando messo alle corde, cosa che è accaduta più spesso in Texas rispetto agli ultimi dibattiti. Sembra ormai essere, comunque, il netto favorito per la nomination del GOP. E se la corsa non si trasforma presto in un testa-a-testa, questa ipotesi potrebbe trasformarsi molto rapidamente in una certezza.

BEN CARSON/JOHN KASICH  – n.p.

Non possiamo andare oltre a un diplomatico “non pervenuto” per commentare le prestazioni dell’ex neurochirurgo di Detroit e del governatore dell’Ohio, quasi mai chiamati in causa dai moderatori e incapaci di inserirsi nel “balletto a tre” condotto fa Trump, Rubio e Cruz. Se Carson non vuole dare credito a chi parla della sua campagna elettorale come del “più sofisticato tour di presentazione librario della storia statunitense” e se Kasich vuole smentire chi lo accusa di restare in corsa solo per puntare alla vicepresidenza in un’amministrazione Trump, i due hanno un sola strada: quella del ritiro e di un (convincente) endorsement a favore di Rubio o Cruz.

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