Gilder, il genio scomodo in anticipo sulla storia

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È uscito da qualche mese negli Stati Uniti l’ultimo libro di George Gilder, l’autore vivente più citato da Ronald Reagan durante gli otto anni della sua presidenza. “The Scandal of Money. Why Wall Street recovers but the economy never does” (Regnery, 2016) mantiene fede alle promesse del suo sottotitolo – “Perché Wall Street si è ripresa, ma l’economia non ci riesce mai” – ed è la prima attuazione pratica della “teoria dell’informazione applicata all’economia” esposta da Gilder nel suo fenomenale “Knowledge and Power” (2014). “The Scandal of Money” sconvolge ancora una volta paradigmi asfittici e incapaci di spiegare la realtà, senza fare prigionieri. L’economia, secondo Gilder, è un sistema di informazioni, guidato dalla creatività umana, che dipende necessariamente da un sistema affidabile di misurazione del valore (il denaro). Decenni di manipolazione monetaria e di ipertrofia finanziaria – uniti a un sistema di misurazione diventato “variabile” (come quello delle valute sganciate dal sistema aureo) – hanno però schiacciato la classe media e stanno avvelenando gli ultimi pozzi della creatività imprenditoriale.

Una teoria sulla quale riflettere, soprattutto perché arriva da qualcuno che nel corso della sua vita è stato definito in mille modi – proto-maschilista, tecno-utopista, pseudo-creazionista e ultra-liberista – senza che nessuno di questi “ismi”, da solo o in compagnia, sia mai riuscito a rendere la complessità del personaggio e delle sue idee. Qualcuno – compreso chi scrive – lo considera uno dei pochi, veri geni del nostro tempo, perché è stato capace di elaborare una “teoria unificata” in grado di integrare politologia, sociologia, sessuologia, antropologia, economia, tecnologia e religione. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, insomma, forse il modo migliore per provare a spiegare George Gilder è proprio quello più semplice: raccontare brevemente la sua straordinaria avventura intellettuale.

Negli anni Sessanta, Gilder è il perfetto prototipo del progressive republican: speechwriter di molti uomini politici in vista nell’establishment del GOP (Nelson Rockefeller, George Romney, Richard Nixon), nel 1966 scrive un durissimo pamphlet contro lo strappo anti-elitario di Barry Goldwater – “The Party That Lost Its Head”. «Ero un tipico sotto-prodotto del XX secolo – ammetterà qualche anno dopo – un intellettuale parassita del capitalismo». Nel 1971, Gilder ha la malaugurata idea di scrivere un articolo contro una legge sul welfare approvata dal Congresso democratico. Il suo ragionamento, oggi, non sfiorerebbe neppure i confini del “politicamente corretto”, ma all’epoca è l’equivalente di una bomba atomica. Cacciato dal giornale in cui lavora, inizia a scrivere “Sexual Suicide” (aggiornato nel 1986 con il titolo “Man and Marriage”), un attacco senza pietà contro le radici del femminismo.

Se l’articolo contro il welfare era un’esplosione atomica, “Sexual Suicide” è un bombardamento nucleare a tappeto su un asilo nido. Il movimento femminista lo nomina “Porco Sciovinista dell’Anno”. Titolo di cui va fiero ancora oggi. Da quel momento in poi è un’escalation. Gilder scrive un altro libro molto controverso: “Visible Man: A True Story of Post-Racist America”, passando con scioltezza dall’analisi sociologica a quella economica. Poi è la volta di “Wealth and Poverty”, pubblicato nei primi mesi del 1981 appena dopo l’insediamento di Reagan alla Casa Bianca. Il timing è perfetto: il libro vende milioni di copie e diventa il “manifesto ufficiale” della supply-side e della Reaganomics.

Il cerchio sembra chiudersi: la rottura del nucleo familiare tradizionale e il welfare portano alla povertà; la famiglia, il lavoro e la libertà di impresa portano alla ricchezza. A 42 anni, Gilder potrebbe considerarsi “arrivato”. Il New York Times definisce il suo libro come la «guida più intelligente al capitalismo», il suo nome è sulla bocca di tutti, le sue apparizioni sono contese dai network tv. L’unico a non essere soddisfatto è proprio Gilder, che già vive nel futuro.

Dopo una pausa di quasi un decennio, in cui studia – partendo da zero – la tecnologia e le il mercato della microelettronica, Gilder rinasce come un guru della rivoluzione digitale. Nel 1989 esce “Microcosm”, bibbia obbligatoria per tutti i visionari della Silicon Valley. Nel 1992 pubblica “Live After Television”, in cui anticipa di qualche decennio la convergenza tra telecomunicazioni e informatica.

Gilder scrive per “Wired”, “Forbes” e “Wall Street Journal”, profetizzando una rivoluzione fatta di sabbia (silicio), vetro (fibra ottica) e aria (wireless). E quando le società hi-tech iniziano a diventare gli investimenti più appetibili per Wall Street, Gilder si trova in una posizione perfetta. Tra il 1999 e il 2000, quando esce “Telecosm”, Gilder non è più soltanto il guru delle nuove tecnologie e il consigliere strategico di Newt Gingrich e Steve Forbes. La sua newsletter a pagamento, il Gilder’s Report, con cui consiglia i titoli delle aziende più promettenti, ha 110mila abbonati, incassa 7 milioni di dollari all’anno ed è quotata tra i 150 e i 200 milioni di dollari. Tutto, però, finisce in un istante, nel marzo del 2000, con lo scoppio della “bolla” delle dotcom.

Gilder si ritira a lavorare nelle colline della contea di Berkshire, al confine tra il Massachusetts e il Connecticut. Fibra ottica o no, George resta un uomo di campagna. Nel 2005 pubblica “The Silicon Eye”, forse il suo lavoro più tecnico, che ne conferma però la brillanti doti di divulgatore scientifico.

Mentre si allontana il ricordo dei suoi giorni da guru hi-tech, anche perché tutte le sue profezie iniziano ad avverarsi, Gilder è pronto per una nuova sfida. Tra il 2004 e il 2005 trasforma il Discovery Institute, un think-tank nato per risolvere i problemi di traffico a Seattle, nella punta di diamante del movimento culturale contro il neo-darwinismo. La sua parola d’ordine non è “creazionismo”, ma “intelligent design”. E non si tratta di una differenza di poco conto. Dopo qualche anno di acceso dibattito, con i darwinisti arroccati in difesa, Gilder cambia nuovamente fronte della Culture War e nel 2009 scrive “The Israel Test”, in cui sostiene come le ragioni dell’odio nei confronti di Israele siano causate dal risentimento nei confronti dei successi economici e tecnologici dello stato ebraico.

“The Israel Test” è il preludio al suo ritorno in grande stile sui temi dell’economia, che arriva nel 2014 con il monumentale “Knowledge and Power”. Oggi, con the “Scandal of Money”, Gilder dimostra ancora una volta di essere almeno un decennio avanti a tutti gli altri. Sarebbe il caso di leggerlo con estrema attenzione. E, magari, di tradurlo in italiano.

© Il Giornale, 19 gennaio 2016

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