Popper e il paradosso della tolleranza Set18

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Popper e il paradosso della tolleranza

In Italia non si è mai sentito citare il “paradosso della tolleranza” di Karl R. Popper tanto spesso come negli ultimi mesi. Prima da chi invocava i caschi blu delle Nazioni Unite contro il ritorno imminente del regime fascista in Italia. Poi da chi ha difeso la decisione, da parte di Facebook e Instagram, di oscurare i profili legati a CasaPound e Forza Nuova. La vulgata messa in giro sui social (e purtroppo anche sulle pagine di giornali apparentemente rispettabili) ricalca più o meno il primo paragrafo della voce “Paradosso della tolleranza” presente sull’edizione italiana di Wikipedia: “Una collettività caratterizzata da tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata ad essere stravolta e successivamente dominata dalle frange intolleranti presenti al suo interno. La conclusione, apparentemente paradossale, formulata da Popper, consiste nell’osservare che l’intolleranza nei confronti dell’intolleranza stessa sia condizione necessaria per la preservazione della natura tollerante di una società aperta”. Tutto molto bello. E soprattutto molto in linea con chi difende a spada tratta la decisione di censurare i crudeli neofascisti.

Ora, da popperiano duro e puro della prima ora, senza alcuna simpatia per i movimenti in questione (mi sembra che, a forza di spingersi verso la loro idea di “destra”, facciano il “giro” per rispuntare all’estrema sinistra) fatemi osservare che il “paradosso della tolleranza” di Popper è tutt’altra cosa. E per scoprirlo, non è necessario rileggersi il primo volume de “La società aperta e i suoi nemici” – quello dedicato a Platone – in cui la questione viene sollevata in una nota al capitolo 7. Anche perché, parliamoci chiaro: “La società aperta” è uno dei classici del pensiero più citati e meno letti del Novecento. Basterebbe, invece, non fidarsi di quella parodia di enciclopedia universale che è diventato Wikipedia Italia e andare direttamente alla fonte inglese, che ci regala il testo integrale della nota in questione.

Traduciamo all’impronta. “Meno noto è il paradosso della tolleranza: la tolleranza illimitata porta necessariamente alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo la tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo preparati a difendere una società tollerante dall’assalto dell’intollerante, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con loro”. Fino a questo punto, tutto sembrerebbe tornare. Poi, però, Popper si sente in obbligo di chiarire il concetto. E aggiunge: “In questa formulazione, non intendo, per esempio, che dovremmo sempre sopprimere la diffusione di filosofie intolleranti; fintanto che possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e tenerle sotto controllo da parte dell’opinione pubblica, la soppressione non sarebbe certamente saggia. Ma dovremmo rivendicare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; poiché (…) potrebbero vietare ai loro seguaci di ascoltare argomenti razionali, perché ingannevoli, e insegnare loro a rispondere agli argomenti usando i pugni o le pistole”.

Qui il cerchio si chiude. Popper esclude spontaneamente l’obbligo di “sopprimere la diffusione di filosofie intolleranti”, mantenendo la riserva mentale di poterle sopprimere “se necessario, anche con la forza”, nel caso in cui gli intolleranti comincino a rispondere alle “argomentazioni razionali” con l’uso di “pugni e pistole”. Non bisogna essere tolleranti con chi utilizza la violenza a fini politici, insomma, che è cosa piuttosto diversa dal censurare filosofie o ideologie che ci sono in qualche modo sgradite.

Popper, del resto, ha scritto la Società aperta nel 1945, in un periodo storico che aveva appena visto l’Europa (quella occidentale, almeno) emergere da decenni di violenza politica, guerra e oscurantismo. La sua preoccupazione, insomma, era quella di mettere in guardia l’Occidente dal rischio di precipitare nuovamente in quella spirale perversa. Non aveva certo intenzione – e lo scrive esplicitamente – di censurare alcunché (non sarebbe certo, dice, una “scelta saggia”).

Eppure i novelli soloni del politicamente corretto non si fanno troppi problemi nello stravolgere il pensiero popperiano a proprio uso e consumo. Esattamente come hanno fatto anni fa, con Popper moribondo, utilizzando una sua uscita estemporanea contro la televisione per additare al mondo il mostro berlusconiano. Sulla rete circolano perfino simpatici fumetti che spiegano alle masse il “paradosso della tolleranza” fermandosi, naturalmente, alla prima parte del ragionamento (quella che può essere utilizzata per colpire gli avversari politici di turno).

Concludiamo ricordando ai nostri lettori come “La società aperta”, scritta appunto nel 1945, sia stata pubblicata in Italia soltanto nel 1973-74, dopo aver conosciuto quasi trent’anni di deliberata censura editoriale perché Popper era considerato dal gotha intellettuale nostrano un reazionario maccartista difensore delle società occidentali. A censurarlo, naturalmente, furono i cattivi maestri di chi, oggi, è diventato un paladino dei bavagli digitali.

(da L’Opinione del 18 settembre 2019)

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