Siria, il salto nel buio di Obama
“Tenetemi che mi butto” sembra dire un Obama a cavalcioni della sua finestra, guardandosi indietro, nella speranza che qualcuno arrivi a placcarlo. Aveva promesso di farlo, lo ha dichiarato apertamente, adesso che vede e constata l’altezza del salto che deve fare, inizia a guardarsi attorno. Nella speranza (vana) che qualcuno lo fermi. Il salto che deve compiere è quello di un intervento militare in Siria. Un salto nel buio. Non si sa quanto e come reagiranno le forze armate siriane. Già minacciano di bombardare Israele, senza escludere le armi chimiche. Lo Stato ebraico, visto come “emanazione” degli Usa, era già stato tenuto in ostaggio da Saddam Hussein, l’ex dittatore iracheno che lo bombardò nel 1991, durante la Guerra del Golfo.
Un intervento Usa in Siria potrebbe far tornare in azione i missili sulle città israeliane. Con l’aggravante che le testate potrebbero essere chimiche. È un salto nel buio per quanto riguarda l’Iran. Interverrà? Non interverrà? Come interverrà? Non ci sono forze iraniani sufficientemente sofisticate da colpire Israele o gli Usa sul loro territorio, a parte pochi missili balistici che rimarranno del tutto inutili finché non avranno una loro testata nucleare. Tuttavia ci sono tanti terroristi, direttamente o indirettamente legati all’Iran e a Hezbollah, che possono colpire ovunque nel mondo. Con o senza armi di distruzione di massa. È un salto nel buio per quanto riguarda la Russia. Come reagirà Putin al bombardamento di un Paese in cui mantiene una base navale, consiglieri militari e istruttori? Già il presidente russo aveva fatto fuoco e fiamme contro la sola possibilità di dislocare missili anti-missile (armi puramente difensive) della Nato in Polonia. Ed è lo stesso uomo che, quando era presidente uscente nel 2008, intervenne militarmente contro la Georgia (invadendo i due terzi del Paese) perché la sua missione di peacekeeping in Ossezia era stata violata.
L’uomo dimostra di essere molto suscettibile. In Siria non si sa ancora quanto si innervosirà. Soprattutto: l’intervento armato è un salto nel buio per quel che riguarda lo stesso futuro della Siria. Fra gli insorti vi sono almeno 15mila guerriglieri radicali islamici, dichiaratamente nemici degli Usa e affiliati ad Al Qaeda. Dopo 12 anni di guerra al terrorismo (la settimana prossima sarà il 12mo anniversario dell’11 settembre 2001) forze armate statunitensi combatterebbero al fianco dell’organizzazione terrorista che uccise 3000 americani e stranieri a New York e New York.
Di fronte a queste incognite, c’è veramente da pensare che Obama speri, a questo punto, che qualcuno lo trattenga. Forse lo sta pensando da quando si rese conto delle implicazioni della sua prima presa di posizione, quella famosa dichiarazione sulla “Linea Rossa” da non passare, sul divieto di uso di armi chimiche, in grado di uccidere migliaia di persone in un conflitto che conta già 100mila caduti. Assad pare abbia passato quella linea per due volte, anche se non abbiamo prove certe per affermarlo. Adesso che l’impegno è preso, Obama deve agire, pena la perdita di credibilità. Deve affrontare quel salto nel buio, carico di incognite di cui sopra, al fianco di alleati incerti e ostili, contro un nemico che finora non aveva minacciato la sicurezza americana (proprio Obama stava ricucendo buoni rapporti con Assad nel 2009 e 2010), ma che ora potrebbe diventare molto pericoloso.
Il presidente statunitense si è rivolto al mondo, cercando risposte che non ha avuto. La Gran Bretagna ha dato il suo appoggio, poi l’ha ritirato: David Cameron aveva parlato troppo presto, senza accorgersi che il suo stesso Partito Conservatore non era d’accordo. La Francia di François Hollande sembra più decisa. Ma è un po’ poco un solo Paese europeo. La Lega Araba non ha dato il suo assenso. Nonostante la condanna ad Assad, Libano e Iraq (i due Stati che confinano con la guerra civile siriana) si sono opposti.
Israele tace e si prepara a subire eventuali rappresaglie, distribuendo maschere anti-gas. Dall’Onu non può arrivare alcun assenso del Consiglio di Sicurezza: Russia e Cina sono sempre pronte a porre il veto. Ancora un solo passo e Obama non dovrà compiere il salto nel buio: manca il Congresso degli Stati Uniti, il potere legislativo del suo Paese, ultimo ad essere consultato, come sempre nella politica estera obamiana (per l’intervento in Libia, nel 2011, non era neppure stato preso in considerazione). Se dovesse arrivare il veto almeno dal Senato, Obama forse può risparmiarsi il salto nel buio. Ma sembra determinato. È notizia di questi due giorni il suo lavorio di lobby per cercare di convincere più parlamentari possibili. Allora vuol dire che vuole lanciarsi, a tutti i costi?