Rottura
Ha perso il Pdl, e forse il dato emblematico di Milano rende la sconfitta ancor più amara. Non hanno vinto i principali detrattori del Pdl, però. E su questo occorre riflettere. Gianfranco Fini si era speso in questi mesi per far capire a tutti quanto Futuro e Libertà potesse rappresentare un’alternativa europea e moderata al muscolarismo berlusconian-leghista: per ora, obbiettivo fallito.
Il risultato dei futuristi sfiora il ridicolo. A Latina, al traino del fasciocomunista Pennacchi e con tanto di presentazione in pompa magna guidata da Bocchino e Granata, i pretoriani del presidente della Camera portano a casa un imbarazzante 0,7%. A Trieste, casa del coordinatore nazionale Menia, non va oltre il 3%. A Napoli, nella zona di influenza di Italo Bocchino, siamo al 3,37% e a Torino Fli finisce appaiata ai Consumatori per Fassino, portando a casa un incredibile 1,4%. A Milano e Bologna (patria di Gianfranco Fini) il simbolo nemmeno c’era e nella capitale meneghina la lista di riferimento dei futuristi è ferma al 2,68%. Le cose non vanno meglio a livello provinciale: 3% a Gorizia e Trieste; 2% a Vercelli e Ravenna, sotto l’1% a Mantova e Reggio Calabria; intorno al 4% solo a Campobasso e Macerata, dove però Fli si presentava insieme al Pdl.
Impossibile, con questi numeri, immaginare di dare vita ad un progetto serio: stiamo ragionando su ordini di grandezza che si avvicinano alla strutturale marginalità di movimenti come il Partito Radicale, La Destra o i Pensionati. Aggiungiamoci il particolare non da poco della sovraesposizione mediatica di questi mesi e della leadership in capo al Presidente della Camera e otteniamo un quadro che definire desolante è un eufemismo.
Se Sparta piange, l’Atene pidiellina certamente non ride. Crolla Milano, città simbolo del berlusconismo, diventa imprendibile Torino con percentuali non degne di un partito che intende rappresentare la maggioranza del paese. Anche a Napoli, tutto sommato, il centrodestra si conferma minoranza e nell’ex roccaforte triestina il candidato berlusconiano non arriva al 30%. I dati raccontano, quindi, di un presunto blocco moderato in netta difficoltà: la sua versione originaria (quella berlusconiana) arretra, mentre il goffo tentativo di evoluzione finiana finisce in percentuali da prefisso telefonico.
Che fare? Noi non crediamo ci sia altra strada che la rifondazione, la ripartenza, la riapertura del cantiere. Chi si sente liberale e liberista, chi crede nello stato minimo (e chi ritiene dannoso pure quello), chi insomma ha in tutta coscienza ritenuto valido lo strappo berlusconiano del ’94, ha il dovere di fare un passo indietro rispetto all’attuale sistema partitocratico e due passi avanti sullo scacchiere ideale e programmatico. Detto in italiano corrente: né con Fini né con Berlusconi. Entrambi sono, e non ci stancheremo di ripeterlo, pianeti della stessa galassia: il sole Silvio e la luna Gianfranco non hanno fatto altro che rimpallarsi, in questi anni, meriti e responsabilità.
A tratti ci hanno incantato raccontandoci di un’Italia diversa, poi, sistematicamente, ci hanno convinto con i fatti che quell’Italia non la volevano nemmeno loro. Oggi il bluff è definitivamente scoperto con un risultato che lascia pochissimo spazio alle interpretazioni: perde il Berlusconi che voleva cambiare la politica ed è stato cambiato dalla politica e perde il Gianfranco Fini che ha vissuto di politica per tutta una vita. Perdono partiti, movimenti, organigrammi ed establishment scelti senza un minimo di meritocrazia e con procedure degne più dei vecchi regimi totalitari che delle moderne democrazie. Perde chi non ha saputo riformare, liberare, semplificare questo paese e chi invece ha sempre remato contro la rivoluzione liberale. Perdono le destre sociali che tali sono per tradizione e quelle che lo sono diventate perché occorreva ingrassare gli ingranaggi della macchina statale.
Perdono i liberali moderati come noi, quelli che avevano sognato una destra anglosassone e si sono ritrovati incastrati in partiti poco inclini a voler ridurre il loro peso nella vita dei cittadini. Ripartiamo da poche cose, ma ripartiamo. Lasciamoci dietro i co-fondatori di questo esperimento malriuscito di fusione a freddo e ricominciamo a valutare uomini e idee con i soli strumenti in cui abbiamo sempre creduto: la libertà e la democrazia.