Il GF che vuole incatenare il web
Mentre in Italia ci stiamo arrovellando sull’elezione del Presidente della Repubblica e sull’influenza della Rete sulla politica, proprio in questi giorni negli Stati Uniti è tornata alla ribalta una “leggina”, che – in un futuro non troppo lontano – potrebbe riguardare anche noi molto da vicino, condizionando la nostra vita digitale. Si tratta del CISPA (per il testo integrale si veda qui), proposta bipartisan presentata dal democratico Dutch Ruppersberge e dal repubblicano Mike Rogers, già passata alla Camera dei Rappresentanti con 288 voti favorevoli e 127 contrari. La discussione e il voto in Senato erano previste per il 23 aprile, ma si è deciso di rinviarle, lasciando la proposta di legge in una situazione di stallo. Si tratta di una situazione ambigua che riflette forse la volontà del Senato di non esprimersi ancora su una proposta rispetto alla quale Obama ha già manifestato intenzioni di veto. È probabile, dunque, che la proposta verrà congelata, ma non per sempre. E per questo motivo è bene iniziare a capire di che cosa si tratta e che tipo di interessi porta in gioco.
La libertà della rete è in pericolo?
Il Cyber Intelligence Sharing and Protection Act è una legge che ricalca almeno in parte gli intenti dei vari SOPA, ACTA e PIPA, proposte scongiurate e ora cadute nel dimenticatoio per effetto delle forti proteste online, a cui avevano aderito anche i grandi colossi Internet, come Google o Wikipedia. Il CISPA mira di fatto a trasformare i colossi del Web in veri e propri poliziotti, invitandoli, non soltanto a scandagliare tutti i dati sensibili degli utenti – come fanno da sempre – ma anche a cederli alle autorità per prevenire attacchi informatici e per tutelare i contenuti protetti da copyright. L’industria musicale e dell’audiovisivo ha taciuto su questa proposta ed è comprensibile: potrebbe essere un buon argine per gli effetti emorragici della pirateria. Ma anche gli over the top, che in passato si sono fatti belli con la retorica della “libertà della rete” e della “net neutrality” stanno facendo passare la questione sotto silenzio. Proprio in questi giorni il gruppo Anonymous ha lanciato in Rete una protesta contro l’iniziativa di legge, protesta ricostruibile attraverso l’hashtag #CISPAblackout o attraverso il sito Internet Anon Insiders. Quello che più fa riflettere è la mancata adesione dei big del Web. Insomma dov’è finita la magnanimità di Google e di Wikipedia, che da sempre intraprendono e sostengono battaglie in difesa degli utenti?
Il confine tra libertà e sicurezza
Ma, al di là della nota puramente polemica, la questione è seria. Ancor di più preoccupa il silenzio della politica, soprattutto di quella nostrana. Non che la legge sia approvata, né che riguardi l’Italia direttamente, ma certamente la posta in gioco è altissima e prima o poi il dibattito dovrà esplodere anche da noi. E – come si dice in
questi casi – sarebbe meglio prevenire, che curare. La questione del trade-off tra libertà e sicurezza è da sempre un nodo cruciale del pensiero liberale. E oggi politiche del terrore e strategie di comunicazione basate sull’emozione della paura, che i media continuamente alimentano, stanno facendo propendere l’ago della bilancia a favore di una maggiore domanda di protezione e quindi di un maggior intervento da parte dello Stato, a scapito della libertà individuale.
A prescindere dalle opinioni personali, il rischio più grande è forse quello di non avere affatto un’opinione in merito, per la complessità della materia. Insomma, un’iniziativa politica della portata del CISPA finisce per passare quasi inosservata, fuori dal mondo degli addetti ai lavori e degli hacker un po’ nerd che tanto amano la rete. La legge nasconde una minaccia molto più grande della violazione di copyright e della stessa violazione di privacy in sé. Come sostiene il Repubblicano libertario Ron Paul, infatti, il CISPA può essere visto come una “preoccupante forma di corporativismo, in cui i colossi della rete cedono la responsabilità di proteggere le loro proprietà intellettuali alla pubblica amministrazione a spese della privacy e della libertà dei loro consumatori”. In questo si cela quindi il pericolo che le istituzioni politiche si approprino di un sapere troppo grande sui loro cittadini, compromettendone la libertà. E allora l’interrogativo che sorge spontaneo è: quanto rischiamo come cittadini, anzi prima ancora come individui, se tutta la nostra vita digitale diventasse un archivio ad uso e consumo di istituzioni politiche, che – tra l’altro – trasparenti non sono, né mai potranno esserlo?
(tratto da “Like Breakfast Cereal“)