L’eredità di Chavez e i gringo
Le lacrime che arrivano da Caracas sono le lacrime di un popolo che fino a ieri ha danzato sulle macerie di un autoritarismo che di democratico ha solo le sembianze, ma non il codice genetico. Un regime che può essere compianto solo da chi è pronto a sottomettere la libertà individuale all’egualitarismo a ribasso di stampo comunista. Eppure politici, attori, personaggi pubblici di vario genere restano impietriti di fronte alla scomparsa di questo rivoluzionario populista, amico dei bisognosi, che da quando si è insediato al potere ha accumulato ricchezze pari a circa due miliardi di dollari. Fanno rabbrividire, ad esempio, le parole di uomini come l’ex presidente Carter o José E. Serrano dello stato di New York, membro del congresso Usa. Entrambi esprimono parole di cordoglio per il lìder venezuelano. O le dichiarazioni che giungono dal mondo di Hollywood, dove l’attore Sean Penn e il regista Oliver Stone sostengono di aver perso un amico.
Afferma Serrano: «Il presidente Hugo Chávez era un leader controverso. Ma era un uomo che veniva da molto poco e che ha usato il suo talento per cercare di sollevare le sorti delle persone e delle comunità povere. Egli credeva che il governo del paese dovesse essere utilizzato per potenziare le masse, non le élite. La sua eredità nella sua nazione, e nel continente, sopravvivrà grazie a quelle persone che continueranno la lotta per offrire una vita migliore ai poveri e agli oppressi». Sembra ignorare tutto il resto. Ma bisogna ricordare che l’abuso subito da milioni di venezuelani, liberi imprenditori, e da una classe media ostaggio delle politiche stataliste, non si cancella con un semplice De Profundis.
Il futuro di un intero paese resta appeso a un filo. Per correggere le scelte corrotte e distruttive che lasciano il Venezuela tramortito ci vorranno anni. Una crisi socio-economica evidente e un settore petrolifero vacillante sono le uniche certezze che sopravvivono alla sua morte. Sarà il vicepresidente Nicolas Maduro ad assumere la presidenza ad interim, in attesa di elezioni che dovrebbero tenersi entro 30 giorni. L’articolo 233 della Costituzione stabilisce che l’incarico spetterebbe in realtà al presidente dell’Assemblea Nazionale, cioè a Diodado Cabello. Lo stesso articolo prevede la possibilità di affidare l’incarico presidenziale ad interim al vicepresidente solo se la morte del presidente avviene nei primi quattro anni del suo mandato, ma Chávez, rieletto nello scorso ottobre, non ha mai assunto formalmente il suo nuovo incarico.
I giochi di potere per la successione sono più complessi di quanto si possa immaginare. Due fazioni rivali all’interno delle fila chaviste sono pronte a darsi battaglia: un gruppo fedele a L’Avana e il ramo militare invischiato nel traffico di droga. Fino a pochi mesi fa si immaginava che queste due realtà si unissero nel sostegno al vice presidente Maduro. Ma il vicepresidente non è riuscito a convincere i suoi di poter condurre una campagna elettorale vincente. E ciò ha portato i narcogenerales ad appoggiare il presidente dell’Assemblea nazionale, il veterano Cabello. Esistono poi altre “correnti” tra i militari che hanno iniziato proporre candidati alternativi, fuori dalle due cerchie principali. È così che il controllo dell’esercito sul partito chavista potrebbe collassare.
Lotte per la successione a parte, gli anni del regime chavista (come si legge dappertutto in queste ore) si è concentrato su una visione socialista dell’economia, affiancata da un rimarcato anti-imperialismo nei confronti degli Stati Uniti. Chávez è stato un acceso critico della globalizzazione “neoliberista” e della politica estera di Bush. Questo è chiaro, cristallino. Ogni giornale e tv lo ricorda, ma è molto meno scontato tutto il marcio che dal 1999, anno della sua prima elezione, si aggira intorno alla sua figura. La complicità con il traffico di droga e il terrorismo internazionale non sono particolari irrilevanti, così come non può essere considerata “sovrastruttura” la criminalità dilagante nelle città, le istituzioni corrotte e le elezioni truccate.
L’ultima riforma voluta dal Caudillo è stata la svalutazione della moneta. Era il mese scorso ed era troppo tardi per interrompere la caduta di una economia decimata da una cattiva gestione, manovrata da politiche che avevano l’unico scopo di soffocare il settore privato, la produzione e il commercio. L’inflazione, la scarsità di cibo, le interruzioni della corrente e le infrastrutture fatiscenti sono il prezzo da pagare per 14 anni di regime.
A differenza che nel passato, l’economia venezuelana questa volta non sarà salvata neppure dalle entrate petrolifere. Contrariamente alle cifre ufficiali, la produzione effettiva è di 2,4 milioni di barili al giorno, ben al di sotto dei 3,3 milioni precedenti all’ascesa di Chávez. Anchegli alleati del regime venezuelano se ne sono accorti: Cina, Russia, Iran, Cuba e gli altri clienti nei Caraibi e America Centrale. Esistono report che mostrano come il Venezuela sia costretto a importare benzina per soddisfare la sua domanda interna. Nulla di confermato, ma sono notizie che consegnano il paese all’incertezza più totale. L’eredità di Hugo Chávez è anche questo.