Cameron, i gay e l’Europa
Al congresso del Partito Conservatore del 2011 il premier britannico David Cameron, nel suo discorso, assunse una posizione inequivoca sul tema delle unioni omosessuali. “Sì, è questione di uguaglianza, ma è anche altro: impegno. I Conservatori credono nelle relazioni che ci legano; la società è più forte quando ci assumiamo impegni reciproci e ci sosteniamo. Per questo non sostengo il matrimonio gay pur essendo un Conservatore. Io sostengo il matrimonio gay perché sono un Conservatore”.
Cameron, successivamente, è più volte tornato sull’argomento e considera l’introduzione per gli omosessuali della possibilità di sposarsi uno degli obiettivi del proprio governo. Le linea del premier britannico sui diritti dei gay ha goduto da noi di un certo risalto; in particolare ha incontrato il plauso di molti tra coloro che ritengono che sia necessario innovare il centro-destra rispetto alla ridotta ideologica in cui l’ha gradualmente confinato il berlusconismo. In parecchi ritengono che, per le sue posizioni sui temi eticamente sensibili, il Partito Conservatore di Cameron rappresenti il modello di una “destra moderna”, a vocazione inclusiva ed in contatto con le dinamiche di evoluzione della società.
E’ un peccato, tuttavia, che ci sia un’attenzione molto inferiore del mondo giornalistico, intellettuale e politico italiano rispetto ad altre “rotture” di cui il leader tory si sta rendendo protagonista e che invece vengono eluse o comunque sottovalutate. Nei fatti David Cameron è un innovatore non solo quando parla di omosessuali, ma anche quando – in ambiti ben distanti – si pone in modo originale su fondamentali questioni istituzionali ed in particolare sui temi sensibili che riguardano la politica continentale e la sovranità nazionale.
Particolarmente significativo, da questo punto di vista, è stato il discorso sull’Unione Europea di questa settimana, un discorso nel quale l’inquilino di Downing Street ha delineato una visione dell’Europa scevra da populismi ma al tempo stesso distinta e distante rispetto a quella che la politica mainstream presenta come l’unica possibile. Quello che è rilevante nella posizione espressa dal premier inglese è che si individua in modo chiaro come l’integrazione economica e la centralizzazione politica non siano due variabili che vanno a braccetto, ma come anzi l’idea di un libero mercato europeo si coniughi meglio con una visione di Europa plurale e policentrica.
E’ una posizione coerentemente liberale, eppure eretica rispetto ai canoni del dibattito italiano sui temi europei – un dibattito che da noi è prigioniero del bipolarismo “sbagliato” tra chi, dicendosi difensore dell’integrazione economica, propugna l’unione politica e chi invece rigetta l’UE in nome del protezionismo e del localismo. L’euroscetticismo di Cameron non è una “chiusura”, non è un “ripiegamento”; anzi nel suo discorso le parole apertura, mercato e scambio sono state tra le più ricorrenti. Quello che si prefigura è un rafforzamento del mercato unico europeo, con un’eliminazione delle barriere ancora presenti alle transazioni economiche interne, ed al tempo un’Unione flessibile con la possibilità per i vari Stati di aderire a determinati trattati e di non partecipare ad altri dispositivi.
La visione di David Cameron, quindi, non è quella di un’Europa che replichi paradigmi istituzionali gerarchico-piramidali, ma al contrario quella di un continente in cui prevalgano le relazioni orizzontali, cioè in definitiva la libera cooperazione tra pari. Il suo ideale, quindi, è quello di un’Europa che possa muoversi “con la velocità e la flessibilità di un network, anziché con la rigidità di un blocco unico”. Nella visione del premier britannico, un modello orizzontale è più efficiente nel rafforzare i buoni rapporti tra i popoli europei, mentre al contrario la centralizzazione politica rischia di alimentare tensioni e nazionalismi; in effetti il suo esito è che nei cittadini di alcuni paesi cresce il risentimento contro chi impone loro l’austerity e che nei cittadini di altri paesi cresce il risentimento nei confronti di chi vorrebbe far pagare loro i costi dei disastri altrui.
Quindi no ad un’Unione burocratica, soppressione delle istituzioni e delle sovrastrutture inutili ed affermazione del principio che stare nell’UE non deve rappresentare un binario unidirezionale di perdita di sovranità, ma che le competenze devolute al livello europeo possano tornare ai singoli Stati quando i loro cittadini lo richiedano. Cameron si propone di concedere ai britannici la possibilità di votare tramite referendum, entro pochi anni, per decidere se restare o meno nell’Unione, ma l’obiettivo che si prefigge è che non si trovino a dover scegliere solo tra l’uscita e lo status quo e che abbiano la possibilità di rimanere parte di un’Europa rinegoziata. La “destra moderna” di Cameron non è quindi la destra populista e localista dell’antieuropeismo peggiore; ed allo stesso tempo non è neppure quella destra più politicamente corretta che aspira a fondare una sorta di “gollismo europeo”.
E’ un nuovo modello di destra, dal DNA più liberale, che in qualche modo comincia a far suo il concetto che i vecchi modelli istituzionali ottocenteschi e novecenteschi sono in crisi e che la soluzione non è quella di provare a riproporli su scala più grande, ma che al contrario serve concepire paradigmi diversi, flessibili, modificabili e che derivino la loro legittimità dal basso. Per usare le parole di Ernest Renan, la visione di Cameron è quella di Europa non come entità immutabile, ma come “plebiscito permanente”. Per molti versi la posizione coraggiosa assunta da David Cameron a livello europeo, ha un contraltare anche sul piano istituzionale interno della Gran Bretagna. Nel 2014, infatti, si svolgerà in Scozia un referendum sull’indipendenza.
La consultazione è l’esito di un accordo tra il premier nazionalista scozzese Alex Salmond ed il premier britannico. In effetti gli elettori scozzesi potrebbero sciogliere con un semplice voto un’unione politica con l’Inghilterra durata più di tre secoli, conferendo alla Scozia la piena indipendenza. Si tratterebbe della tappa finale di un processo di autodeterminazione molto rapido, considerando che fino al 1999 la Scozia nemmeno disponeva di istituzioni politiche “devolute”. Cameron sosterrà la continuazione della presenza della Scozia nel Regno Unito, ma si è detto pronto ad accettare e rispettare l’esito del referendum qualunque esso sarà, riconoscendo il diritto dei cittadini scozzesi a decidere democraticamente sulla propria appartenenza nazionale. Anche in questo caso la posizione di Cameron rappresenta un elemento di profonda innovazione politica, tanto sul piano interno quanto, più in generale, a livello europeo.
In ambito britannico, in effetti, la linea del premier rappresenta un evidente salto in avanti rispetto alla tradizione unionista del proprio partito. In effetti è tra i Conservatori che storicamente è stata più forte la memoria dei valori “imperiali” ed è da quel partito che è sempre venuto un freno a qualsiasi tendenza di disgregazione dell’unità nazionale; pertanto il fatto che proprio da un leader tory potesse venire il riconoscimento del diritto degli scozzesi ad autodeterminarsi è un fatto rilevante e non scontato. Ma la posizione di Downing Street sull’autodeterminazione della Scozia è eretica anche rispetto al più generale contesto europeo – dato che l’istinto difensivo un po’ di tutte le classi politiche è quello di erigere la supremazia nazionale e l’immodificabilità dei confini a dogmi laici che non possono essere messi in discussione.
Insomma, che si parli del fascicolo Europa o del fascicolo Scozia, la “rottura” politica di Cameron è il suo coraggio di riconoscere che i vincoli di appartenenza comunitaria non possono prescindere dall’effettivo consenso dei cittadini. Su questi punto in molti, anche da noi, dovrebbero essere pronti ad inaugurare una riflessione – in primo luogo coloro che provano ad immaginare come dovrebbe essere un centro-destra di domani, un centro-destra pragmatico che sappia andare oltre gli steccati ideologici del passato ed i miti delle vecchie destre centralizzatrici.