Time for Gove
Non c’è solo Boris Johnson da tenere sott’occhio per il futuro del partito conservatore britannico. Il sindaco di Londra di tanto in tanto ruba la scena al Primo ministro David Cameron che fa buon viso a cattivo gioco e intanto si fa spazio nell’immaginario elettorale ancor prima che nella prova dei fatti, le elezioni. Lavora ai fianchi e studia le mosse, un giorno si vedrà quanto tangibile sia la strategia di Johnson. Non c’è solo lui, c’è ad esempio il 46enne Secretary of State for Education del governo che guida Cameron, Michael Gove. Uno scozzese di umili origini, così umili che nato a Edimburgo è cresciuto ospite di un’altra famiglia ad Aberdeen – una formazione ben diversa da quella di Tristram Hunt, il ministro ombra laburista all’Istruzione, cresciuto negli ambienti accademici grazie alla carriera del padre ad Oxford.
Gove è l’artefice della free school, istituti slegati dalle autorità pubbliche locali e affidate pienamente ai privati che si sono impegnati a fondarli: siano genitori, insegnanti, altri individui, le free school devono essere in grado di assicurarsi una sopravvivenza prima di tutto economica e per farlo occorre saper attirare studenti. Uno scenario che a queste latitudini porterebbe in piazza masse di docenti indignati e spaventati per le sorti dei figli d’Italia. Il filosofo Roger Scruton ha raccontato di averne visitata una, la Greenwich Free School, e di esserne rimasto colpito: ha ricordato sullo Spectator come l’istituto sorga in una zona svantaggiata e con tutte le caratteristiche etniche di un borough londinese, rimanendo colpito dal livello di cooperazione nato tra studenti e professori, favorita – a detta di Scruton – da “vere lezioni, veri maestri e vere attività di dopo scuola” che contribuiscono al salvataggio dei ragazzi dalle tante difficoltà della zona. Le free school, secondo Scruton, sono il tassello che consente agli adulti e ai più piccoli (i veri proprietari) di riassumersi responsabilità personali.
Le pressioni su Gove sono enormi: sui quotidiani settimana scorsa è apparsa la notizia che il segretario ha iscritto la figlia Beatrice ad una state school femminile, la Grey Coat Hospital Church of England School a Westminster. A metterlo in difficoltà è stata soprattutto la moglie, la giornalista Sarah Vine, che ha dichiarato che la scelta è stata dettata in primo luogo dalla possibilità per Beatrice di ricevere un’educazione più completa che in un ente a pagamento. Gove è così il primo ministro all’Istruzione conservatore ad avere un figlio che da settembre frequenterà un istituto statale. Ma il senso della sua azione resta: “Le free school – ha detto allo scrittore per ragazzini Anthony Horowitz – sono l’opposto di un progetto ideologico. Sono essenzialmente un esercizio di pragmatismo inglese. Avranno successo solo se i genitori vorranno mandarci i figli. Sono scuole che rappresentano una scelta. E’ comprensibile che ogni cambiamento dallo status quo attragga particolare attenzione. Ed è vero che si sono state due o tre free school che hanno dovuto affrontare grandi problemi. Ma ci sono centinaia di scuole mantenute dallo stato che hanno altrettanti grandi problemi”.
E’ stato lo stesso Horowitz, sempre sullo Spectator, a svelare i giudizi espressi da certi suoi colleghi su Gove, accusato di essere un arrogante che sta compiendo sulle spalle degli studenti ciò che la Thatcher fece su quelle dei minatori. E’ un ignorante per il romanziere Patrick Ness. E quando Horowitz ha ribattuto che forse è solo una persona a modo che sta cercando di fare il meglio per i giovani, un autore ebreo rimasto anonimo ha replicato: “Lo si diceva anche di Hitler”.
Gove tira dritto, gira tra le scuole del regno, cerca il dialogo con i docenti sottolineando come i loro colleghi che più di tutti alzano la voce in segno di protesta in realtà non abbiano ricevuto alcun mandato elettorale per rappresentarli. E ripete: “Voglio che la gente sia l’artefice della propria vita. Ritengo che il fine principale dell’istruzione sia di concedere a ciascuno di noi, una volta che diventiamo adulti, di modellare il nostro futuro. Abbiamo l’opportunità non solo di scegliere il nostro lavoro o la nostra professione,ma anche di scegliere il genere di vita che vogliamo vivere e il segno che lasceremo sugli altri”. Ce n’è abbastanza per riempire strade e piazze, in Italia.