Considerare Farage
Lasciate da parte le cronache su quel manipolo di eurodeputati che raccoglie casi disparati pur di contare nei numeri a Strasburgo e Brussels, è il caso che in Italia l’accozzaglia che dovrebbe passare per centrodestra prenda in seria considerazione lo United Kingdom Independence Party di Nigel Farage, a meno che non si voglia ammettere che Beppe Grillo sia più furbo e scaltro di Silvio Berlusconi e del suo cerchio magico, di Angelino Alfano e – perché no? – di Matteo Salvini. All’indomani del successo elettorale alle Europee dello UKIP, sullo Spectator il commentatore James Forsyth ha analizzato con attenzione il fenomeno Farage nel Regno Unito perché se è vero che il suo è stato il primo partito davanti a laburisti e conservatori nella corsa ad un seggio nel parlamento dell’UE, è altrettanto vero che con la legge elettorale in vigore sull’isola, un maggioritario secco first past the posts, lo UKIP deve percorrere ancora tanta strada per garantirsi una rappresentanza valida a Westminster.
Cos’è lo United Kingdom Independence Party? Un movimento razzista? Un gruppo di sbandati in cerca di fama e rivincita? Una meteora? E’, secondo Forsyth, una realtà che si è fatta largo nei territori lasciati scoperti da David Cameron dopo essere diventato Primo ministro, con il progetto di un nuovo partito conservatore ancora in cantiere e che avrebbe dovuto realizzarsi appieno con ambiziosi piani come la Big Society, cavallo di battaglio riposto in stalla a mangiare biada. Lo UKIP ha intercettato inizialmente i pensieri e i voti dell’elettorato conservatore di campagna, impuntandosi nella lotta alle pale eoliche (“Ci sono, credo, 310 gruppi di azione contro le wind farm in questo paese e ognuna di loro è in contatto con noi”, aveva dichiarato Farage poco tempo fa sempre allo Spectator) e nel ripristino della caccia alla volpe, riproponendo con forza l’ideale di un’Inghilterra tradizionale nelle sue basi sociali, quell’Inghilterra che è lontana dagli ambienti chic londinesi di Fulham, dove il neoconservatorismo di Cameron è stato stilato. Riporta Forsyth l’idea all’epoca dell’entourage del Primo ministro secondo la quale l’elettorato di destra non aveva altra via da seguire se non quella di accordarsi alla rivoluzione dei Tories del nuovo secolo, ma ecco che Farage si è fatto così largo.
Che cosa non è lo UKIP? Non è contro l’immigrazione a prescindere, ad esempio: i toni sull’argomento sono molto accesi e sono però legati a doppio filo all’economia, perché il permissivismo alle frontiere avrebbe favorito un innalzamento (confermato da operatori e addetti ai lavori) della spesa pubblica nel settore sanitario, il National Health Service che è un apparato irriformabile al pari della nostra pubblica amministrazione, che con ingenti somme di sterline si è dovuto sobbarcare i costi di mantenimento di pazienti approdati solo per goderne dei benefici assistenzialisti. Farage, per ottenere percentuali consistenti alle General Elections del prossimo anno, dovrà garantire ai potenziali elettori che lo UKIP non intende smantellare il NHS, piuttosto l’obiettivo sarà quello di renderlo “più britannico”. D’altronde il leader – che guarda caso si fa volentieri fotografare nei pub, una pinta di IPA in mano, nessun locale all’ultimo richiamo sullo sfondo o drink da cocktail bar alla bocca – sa altrettanto bene che lo UKIP si è garantito alcuni consensi anche tra i laburisti stanchi del pallido Ed Miliband. Lo United Kingdom Independence Party è arrivato al punto nevralgico per il suo futuro, dove l’ala libertaria e quella blue collar (espressione per indicare la working class) si confronteranno definitivamente.
Ricorda qualcosa? Magari la Lega Nord, che nel pieno delle sue forze – e di quelle del centrodestra in generale – invadeva i quartieri operai di Torino e avanzava nell’Emilia rossa. La Forza Italia che dal 1994 ha ribaltato il tradizionale sistema partitico italiano, unendo sotto un unico simbolo imprenditori e dipendenti, liberi professionisti e pensionati, studenti e casalinghe. Tra alti e bassi, con il picco del 2008/2009, il centrodestra si è disteso su una vasta area di elettorato prima del disfacimento al quale si assiste ora. Il capo storico è azzoppato, i suoi presunti delfini stanno annegando, le altrettanto presunte alternative ai cosiddetti vecchi schemi non superano la soglia del 4%. Di lavoro ce n’è tanto da fare: trovare un punto di riferimento affidabile e non velleitario solo perché accompagnato dal giudizio degli ambienti mediatici più tradizionalisti (Corrado Passera), guardare avanti e lontano per non ripiombare nella situazione attuale da qui a qualche anno. E soprattutto interessarsene, per non lasciarsi fregare da un Grillo qualunque che intanto si è accaparrato pure qualche voto.