L’impresa impossibile di Trump. 5/ Georgia
La scorsa settimana, nel nostro tour tra gli swing state, parlando dell’Arizona ho acceso un riflettore su una tematica alquanto rilevante nelle elezioni che si svolgeranno tra poco più di 3 settimane: il lento, ma progressivo, mutamento del corpo elettorale dovuto ad una migrazione interna. Quest’ultima incide (ed inciderà) sulla composizione della mappa elettorale degli Stati Uniti per molte elezioni in futuro. Come abbiamo potuto constatare, l’aumento demografico delle comunità latinoamericane e afroamericane hanno iniziato a pesare sui risultati, favorendo i democratici. Nello stesso modo, lo spostamento degli elettori dalle zone più “blu” degli Stati Uniti (l’area metropolitana di New York City si riduce di 277 persone ogni giorno), soprattutto da parte delle nuove generazioni, che per motivi di studio o di lavoro emigrano verso il “south”, evidenziano un problema per il futuro del GOP e per il futuro prossimo di Donald J. Trump.
Secondo una ricerca di William Frey, un demografo presso la Brookings Institution, gli americani di età compresa tra i 20 e i 40 anni hanno tre volte più probabilità di spostarsi rispetto alle persone di età compresa tra 50 e 70 anni. E le aree più interessate a questo mutamento sempre maggiore di anno in anno, includono Los Angeles, San Francisco, San Jose, San Diego, Chicago, Boston e Baltimora, tutte città di Stati che votano abitualmente per i democratici con ampi margini. Queste “nuove leve” del voto democrat spostandosi in altre aree metropolitane, urbane e, in taluni casi, suburbane, potrebbero condizionare il voto di alcuni Stati del sud più repubblicani come l’Arizona, il Texas, la Carolina del Nord e la Georgia.
La Georgia è il 24° Stato per estensione e l’ottavo per popolazione dei 50 Stati Uniti. Confina a nord con il Tennessee e la Carolina del Nord, a nord-est con la Carolina del Sud, a sud con la Florida e ad ovest con l’Alabama. Una zona prettamente “rossa”. La popolazione stimata nel 2019 era di 10.617.423, secondo l’US Census Bureau (con un incremento dal 2010 del 9,6%). L’area metropolitana di Atlanta, con una popolazione stimata di oltre 6 milioni di persone è la nona area metropolitana più popolosa degli Stati Uniti, contiene circa il 57% degli abitanti della Georgia, ed è proprio qui che si disputerà la sfida decisiva per la vittoria dello Stato.
Nel 2012 Romney vinse l’Empire State of the South con un +8% (circa 300.000 voti in più), mentre Trump, quattro anni fa, ha visto ridurre il vantaggio repubblicano sul candidato democratico ad un + 5% (211.000 voti di distacco). La prospettiva di trasformare la Georgia in “Blue State” per la prima volta dal 1992 sembrerebbe una forzatura. Ma siamo qui anche a registrare delle differenze importanti nelle statistiche e, come al solito, siamo degli attenti osservatori dei sondaggi. Affinché Joe Biden vinca lo Stato, i democratici avrebbero bisogno di una vittoria roboante nei sobborghi di Atlanta e di un’impennata nell’affluenza alle urne della comunità afroamericana.
Nel 2016 la contea di Fulton, nella quale la comunità afroamericana è il 44,5% dei residenti (ad Atlanta il 51,8%), ha fatto registrare risultati simili a quattro anni prima, ma con un ulteriore incremento per i democratici. Nel 2012 Obama 64,2% (248.479); Romney 34,6% (133.837); nel 2016 Clinton 67,7% (297.051); Trump 26,8% (117.783). Ci sono poi due contee chiave da tenere d’occhio: Cobb e Gwinnett, entrambi sobborghi storicamente repubblicani nei dintorini di Atlanta, che, però, hanno votato per Hillary Clinton nel 2016 (se Trump riuscisse a frenare l’emorragia in queste due contee popolose è probabile che resista in tutto lo Stato). Nella Contea di Cobb, sobborgo a nord di Atlanta, si è passati dal 55,5% di Romney, 171.464 voti; al 45,8% di Trump, 152.912 voti. Un pesante -9,7% (-18.552 preferenze). Nel campo democratico, al contrario, dal 42,9% di Obama, con 132.526 voti; al 47,9% della Clinton, 160.121 ed un incoraggiante +27.595 voti.
Nella contea di Gwinnet, ad est di Atlanta, si sono registrati numeri simili. Infatti nel 2012 qui Romney vinse con il 54%, tradotto in 159.563 voti; mentre Trump ha perso la contea con il 44,4%, 146.989 preferenze (-12.574). La Clinton ha conquistato la contea con il 50,2% (166.153), mentre Obama aveva perso con il 44,6% (131.879); + 34.274 voti per i democratici, -5,85 per il GOP.
Per i democratici quindi rimane un compito arduo, ma non impossibile. Le loro reali possibilità di vittoria emergono dopo aver esaminato questi dati e averne presi in considerazione ulteriori, come ad esempio le elezioni di midterm del 2018. In queste ultime i democrat hanno compiuto passi significativi in avanti con Stacey Abrams, che è andata molto vicino alla conquista della carica di Governatore dello Stato. Il candidato del GOP, Brian Kemp ha vinto con il 50,2%, 1.978.408 voti; rispetto al 48,8%, 1.923.685 voti per la Abrams. Anche in questa occasione i sobborghi di Atlanta, storicamente repubblicani, hanno votato a maggioranza per i democratici…
Dalle elezioni presidenziali del 2012, alle elezioni governative del 2018, le quattro contee che costituiscono la maggior parte di Atlanta e dei suoi sobborghi (come già detto, la contea di Fulton, di Cobb, di Gwinnett, alla quale si aggiunge quella di DeKalb), hanno aumentato il loro “margine democratico” di oltre 250.000 preferenze. Più di 700.000 georgiani che non avevano diritto di voto si sono registrati nel 2018, con circa 1.250 iscritti in più ogni giorno. I democratici ritengono che questo gruppo, che è più diversificato e più giovane rispetto ai tipici elettori della Georgia, abbia molte più probabilità di sostenere i candidati del partito dell’asinello. Un numero molto elevato di questi nuovi elettori è anche un nuovo residente in Georgia, poiché la crescita di alcune industrie, in particolar modo la produzione televisiva e cinematografica, hanno portato un afflusso di nuovi abitanti in città come Atlanta.
Per questo motivo i democratici della Georgia hanno cambiato la strategia per la campagna presidenziale. Oltre a cercare il consenso dei “blue dog”, provano a fare breccia tra i moderati repubblicani, cercando di convincerli a votare per il ticket Biden-Harris. Il tentativo quindi è quello di dare una spallata decisiva, che avrebbe del clamoroso, per ribaltare l’esito delle elezioni. “I repubblicani stanno spendendo molto nella campagna elettorale nello Stato perché vedono che la Georgia gli sta sfuggendo via…”, ha dichiarato Bob Trammell, il leader della minoranza della Camera del Peach State. “Il rovescio della medaglia è che senza investimenti congrui, perdiamo la nostra grande opportunità… gli investimenti aumentano le prospettive di successo”.
In effetti fino a questo momento, ci sono pochi segnali che fanno presagire un cambio di rotta nella campagna di Joe Biden. Il comitato elettorale in Georgia non sembrerebbe essere disposto a spendere quanto dovrebbe. La campagna del candidato democratico avrebbe stanziato circa 3 milioni di dollari per le pubblicità televisive prenotate durante l’autunno, ma fino ad un mese fa ne aveva spesi solamente 13.000 per mandare in onda gli spot elettorali. I repubblicani, nel frattempo, stanno investendo molto per ampliare la loro base elettorale (un totale di quasi 6 milioni di dollari in pubblicità televisive da giugno), sperando che il motto di Donald J. Trump utilizzato contro le rivolte di piazza, “law and order”, possa far riconquistare un po’ di sostegno tra le donne residenti nelle zone suburbane, fondamentali per la vittoria dello Stato.
Allarmato dai sondaggi e dai richiami del partito dell’elefantino sul territorio, Trump ha fatto campagna elettorale a fine settembre ad Atlanta durante un evento intitolato “Black Voices for Trump”. In quest’occasione il Presidente ha presentato un piano per la comunità nera, elencando una lista di obiettivi da raggiungere, una volta ottenuto il secondo mandato: “Se voterai repubblicano, nei prossimi quattro anni creeremo 3 milioni di nuovi posti di lavoro per la comunità nera, apriremo 500.000 nuove attività di proprietà nera, aumenteremo l’accesso al capitale nelle comunità nera di 500 miliardi di dollari…”.
Il piano prevederebbe anche di riconoscere “Juneteenth”, ricorrenza che commemora la fine della schiavitù negli Stati Uniti (così chiamata perché il 19 giugno 1865 gli schiavi furono liberati a Galveston, Texas), come festa federale. Il Ku Klux Klan, come gli Antifa, catalogati come “organizzazioni terroristiche” e Trump ha anche annunciato di voler creare un progetto nazionale di “clemenza per alcuni procedimenti penali e per perdonare individui che si sono riformati”.
Una netta presa di posizione in favore della comunità afroamericana di Atlanta e dei suoi sobborghi (ma anche un messaggio alle comunità black della Carolina del Nord, dove Trump sarebbe in difficoltà secondo i sondaggi), che punta da una parte a perdere in maniera “dignitosa” nelle 4 contee dell’area metropolitana di Atlanta, dall’altra a scoraggiare la comunità afroamericana a recarsi alle urne. Trump ha poi aggiunto che i democratici come Joe Biden hanno dato gli elettori neri “per scontati” e che, il candidato democratico, “non conosce i neri americani come me”. Joe Biden ha rilasciato una dichiarazione poco prima del comizio di Trump in Georgia: “In qualità di Presidente, lavorerò per promuovere l’equità razziale nell’economia americana e ricostruirla meglio. Prometto di combattere per le famiglie di lavoratori neri e di dirigere investimenti reali per promuovere l’equità razziale come parte della ripresa economica della nostra nazione”.
Il tutto farebbe prefigurare quindi un testa a testa clamoroso in Georgia, tra il ticket repubblicano Trump-Pence e quello democratico Biden-Harris. Considerando anche il fatto che lo Stato non vota blu alle presidenziali dal 1992, quando nella corsa tra Bush senior e Bill Clinton c’era un Ross Perot a drenare voti ai repubblicani. Anche in questo caso, non resta che seguire direttamente lo spoglio del 3 novembre prossimo…
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