Miti

Si può discutere se abbia fatto male o bene, ma di certo Obama ha salvato dalla bancarotta l’industria americana dell’auto. Questo è per (quasi) tutti un dato di fatto. Lo danno per scontato i main stream media americani,  gli oratori della Convention democratica di Charlotte e (come ti sbagli!) la stampa italiana.

Il fatto è che i miti e le parole d’ordine costruite dalla propaganda della sinistra globalizzata sono difficilissimi da abbattere: passano di bocca in bocca, di salotto in salotto, di tweet in tweet, di tv-show in tv-show. E poi sbarcano in Europa, si propagano come mantra, diventano verità auto-evidenti e alla fine nessuno sa neppure come  siano nati.

Sfatiamo almeno un paio di miti.

Primo mito: grazie ad Obama, l’industria dell’auto di Detroit ha evitato la bancarotta.

Sbagliato: sia GM sia Chrysler HANNO fatto bancarotta. Hanno eliminato concessionarie, chiuso impianti di produzione, licenziato lavoratori. Ma la bancarotta è stata dichiarata e gestita secondo precise condizioni dettate dall’amministrazione Obama, in barba alle leggi vigenti. E queste condizioni si sono rivelate molto favorevoli al sindacato (che aveva appoggiato – e continua ad appoggiare – il presidente in campagna elettorale), molto meno favorevoli agli investitori e, soprattutto deleterie per i contribuenti.

La scelta infatti non è mai stata bancarotta-sì/bancarotta-no. La scelta è stata a chi far pagare l’operazione di salvataggio. Ovviamente, Obama ha scelto che a pagare fossero i cittadini americani attraverso le tasse, cominciando col rilevare 10 miliardi in obbligazioni.

I repubblicani (compreso Mitt Romney) non sono mai stati contrari ad aiutare la transizione verso piani industriali più produttivi. Tanto è vero che i primi stanziamenti per la crisi dell’auto sono stati deliberati da George W.Bush nel dicembre del 2008 (25 miliardi su un totale di 85 miliardi). Il punto di vista però era totalmente diverso e prevedeva di richiamare tutti alla realtà: soprattutto i sindacati (e quindi rinegoziare i contratti) e i dirigenti (e quindi eliminare un po’ di privilegi e bonus). L’obbiettivo: rimettere l’industria dell’auto sul sentiero dell’innovazione e dell’autosufficienza. Invece che creare un’industria dipendente dal denaro pubblico come ha fatto Obama.

Secondo mito: Obama ha salvato l’industria dell’auto e recuperato posti di lavoro. Anzi, ha salvato un milione e mezzo di posti di lavoro.

Il conto viene fatto sulla base dell’assioma secondo cui, se GM e Chrysler, avessero seguito le normali procedure di bancarotta, l’intera industria dell’automobile americana avrebbe chiuso i battenti. Insieme a ogni piccolo venditore e produttore dell’indotto. Un’ipotesi priva di fondamento: perché anche in caso di bancarotta controllata secondo le idee repubblicane, i produttori e i venditori avrebbero continuato a lavorare, magari tirando la cinghia, in vista di un rilancio del mercato a seguito di nuovi piani industriali più aderenti alle richieste del mercato. Non è chiaro se la strategia di Obama abbia salvato posti di lavoro: di certo ha salvato patti sindacali fuori mercato. Bill Clinton, in particolare, ha sostenuto, nel suo intervento a Charlotte, che Obama ha recuperato ben 250mila posti di lavoro nel settore. Una bizzarria se si considera che l’industria automobilistica ha, in effetti, recuperato 236mila posti di lavoro. Ma pochissimi di questi erano a General Motor. Dall’inizio della crisi, infatti, GM ha assunto 4.500 persone contro i 63mila impiegati dei concessionari che l’operazione aveva costretto a licenziare. Impiegati quest’ultimi molto meno sindacalizzati. E dunque meno strategici per la campagna di Obama.

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