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Silvio di Lampedusa
Una rivoluzione che lascia tutto esattamente come prima. Non si potrà votare niente, nel Pdl che verrà. Anzi sì. Si potranno votare i coordinatori comunali (wow!). Mentre quelli provinciali e regionali saranno eletti dagli eletti (che così eletti, in larga parte, non sono). Per i regionali, poi, varrà la regola del 75%. O si raggiunge quella cifra oppure sceglie Berlusconi. Berlusconi che, sia detto, potrà scegliere in ogni caso. La domanda delle domande è: cosa cambia? Niente, come sempre. E il potere ce l’avrà Berlusconi – quando avrà tempo e voglia di occuparsene – e i suoi tre-quattro fidi consiglieri. Sia detto per inciso, rimaniamo dell’idea che il nostro Premier abbia in comune con Gianfranco Fini una caratteristica tragicomica: riesce a circondarsi di perfetti incompetenti e in troppe occasioni riesce pure a dargli retta. Ad essere insoddisfatti di questa non-riforma sono i ministri di Liberamente e gli ex An Meloni ed Alemanno. Spesso non condividiamo, ma oggi stiamo con loro. La difesa classica dei guardiani della rivoluzione pidiellina è che questo partito non sarebbe in grado di sopportare iniezioni pesanti di democrazia perché , sostanzialmente, giovane, fragile e impreparato. Se questo movimento è fragile e impreparato ad accettare principi basilari del vivere civile e di comunità, la colpa primigenia è di chi l’ha guidato fino a qui in queste pessime condizioni. Vinceremo le prossime elezioni, forse. Non vinceremo mai la battaglia culturale e strategica negli interessi del paese: quest’Italia rimarrà a lungo una nazione divisa, arretrata e incapace di qualsiasi slancio vitale. Colpa di un partito di maggioranza troppo impegnato a guardare quant’è bello il suo leader presente per provare, anche solo lontanamente, a immaginare un futuro. Ne prendiamo atto.