Il cielo d’Irlanda

Mai come questa volta sondaggi ed indagini pre-elettorali si sono rivelati veritieri e precisi nell’indicare le dimensioni dello  spettacolare rovesciamento di fronte avvenuto nelle urne irlandesi.

Al termine dello scrutinio mancano ancora, per la verità, i dati di 5 delle 43 constituencies e l’attribuzione di 15 seggi residui, ma i giochi sono oramai fatti e la ridda di commenti si è già scatenata come pure la corsa a disegnare futuri scenari, tutti piuttosto fumosi, soprattutto in merito alle policies da attuare per traghettare l’isola di smeraldo fuori da una tempesta quasi senza precedenti. Perlomeno negli ultimi decenni, visto che di vicissitudini tristi e sanguinose è piena la storia d’Eire.

Dunque, a tentare di pilotare la nave nei prossimi cinque anni sarà Enda Kenny, leader del partito trionfatore nelle urne, il Fine Gael che, forte dei suoi circa 75 seggi, diventa di gran lunga la forza più rappresentata nel prossimo Dail. Affiliato al PPE, il FG può essere definito un partito conservatore centrista anche se, in anni non remoti, i suoi dirigenti affermavano di ispirarsi alla socialdemocrazia. Pur prevalendo, all’ interno, l’anima democristiana, tuttavia, la legge sul divorzio e una discussione sulla regolamentazione delle unioni civili portano la firma dell’ ultimo Premier FG, John Bruton. Non solo, la stessa riforma fiscale che abbassò la pressione fiscale sulle imprese sino al 12,5%, contribuendo all’avvio del boom economico di fine millennio ha la stessa matrice. Molto pragmatismo, dunque, risorsa assai preziosa visto l’arduo compito da svolgere.

D’altronde, si affrettano a ricordare diversi commentatori, anche le precedenti esperienze governative del FG avevano per compagna d’avventura la dura legge della necessità. Se non altro l’esperienza ed i nervi saldi non dovrebbero venire a mancare. Il dettaglio non trascurabile è che, per costituire una nuova compagine ministeriale occorrerà ricorrere ad una coalizione, forse con gli indipendenti, molto più probabilmente con i laburisti, al loro zenit di consensi raccolti.

Il partito di Eamon Gilmore aveva chiesto agli irlandesi di non affidare tutto il potere nelle mani di un solo contendente. Ed è stato accontentato, visto che il FG si è fermato ad una manciata di seggi dalla maggioranza assoluta (fissata a quota 84) e lo stesso Labour, con oltre 35 postazioni conquistate va oltre il proprio massimo storico di 33 che nel 1992 consentì il ritorno nella stanza dei bottoni in partnership col Fianna Fail. Impressionante, in particolare, lo score dublinese: ben 18 seggi sui 47 disponibili.

Accomunati nella critica all’accordo sottoscritto dal precedente Esecutivo con l’UE e il FMI per salvare dal default il sistema creditizio irlandese, i due vincitori della contesa dovranno ora fronteggiare l’umore ribollente dell’opinione pubblica. Rischiando, magari, di restare col cerino in mano. Eh sì, perchè una semplice rinegoziazione di alcuni punti dell’accordo potrebbe non bastare a chi si è visto bruscamente decurtare il tenore di vita nell’arco di pochi mesi. A ben guardare, il motivo principale del rigetto che ha sommerso il Fianna Fail, vero parafulmine di questa campagna d’inverno.

Conscio di dover sostenere il ruolo di vittima sacrificale, il più assiduo detentore della carica di Taoiseach(Primo Ministro), con 61 anni su 79 di esistenza, ha provveduto ad un vano tentativo cosmetico scegliendosi un nuovo presidente, Michael Martin, buon oratore che nulla ha, però, potuto per arginare l’onda di tsunami. Basti pensare che dei 13 seggi dublinesi il FF ha ritenuto a stento solo quello del Ministro delle Finanze uscente, Brian Lenihan. La dirotta non è stata meno catastrofica nel resto del paese: dei 78 deputati della vigilia, solo una 20 sopravviveranno alla mattanza. Mai visto un avvenimento simile: gli esperti trovano come pietra di paragone solamente la scomparsa del partito patriottico agli albori della storia repubblicana. E non fu, va detto, un evento foriero di momenti particolarmente allegri. Quel che è sicuro, nei prossimi mesi le nuove leve dovranno sostenere un durissima lotta per la sopravvivenza politica con lo spettro concreto della totale irrilevanza.

Chi, di certo, non correrà questo rischio è il terzo vincitore indiscusso di ieri: il Sinn Fein di Jerry Adams. Triplicando i seggi, il partito delle “32 contee”(le 26 tradizionali del paese più le 6 dell’Ulster) si candida a protagonista assoluto dell’opposizione, respingendo il deal con l’UE ed, anzi, attivandosi a combattere con tutte le armi, per fortuna pacifiche, la battaglia per uno sganciamento irlandese dalla stessa entità continentale, non più una mera utopia, considerando l’impopolarità crescente della moneta unica e delle istituzioni comunitarie tutte.

A competere su queste issues sarà pure la sinistra radicale che rientra in gioco con 4 eletti, risultato ottimo, visto che il cartello raggruppante tre movimenti extraparlamentari distinti (il Partito Socialista, la People Before Profit Alliance e il Workers and Unenployed Action Group) riuniti sotto l’acronimo ULA (United  Left Alliance) ha avuto solo poche settimane per prepararsi al voto, non riuscendo nemmeno a registrare la sigla presso la commissione elettorale nazionale. Il  programma promette socialismo a tutto spiano con allargamento del welfare e fine dei tagli imposti da Bruxelles. ricetta che rischia di essere piuttosto popolare anche nell’ immediato futuro.

Brevissima citazione, infine, anche per i defunti: scompaiono dopo diversi anni i Verdi, né si vede come potranno recuperare visto l’azzeramento della rappresentanza, frutto, dicono i maggiorenti, del patto faustiano di governo col FF.

Riassumendo, possiamo dire che le incognite restano ancora l’unica certezza in campo. Oltre, naturalmente, alla pioggia.

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