Madison Drama

“Madison? Trenta miglia quadrate circondate dalla realtà”. La sprezzante definizione della capitale del Wisconsin, pronunciata nel 1978 dall’allora governatore repubblicano Lee Dreyfus e ricordata da Joe McCormack nell’ultimo numero del Weekly Standard, non è mai stata tanto vicina alla verità come in queste ultime settimane. La “città dei quattro laghi”, poco più di 200mila abitanti (un decimo dell’area metropolitana di Milwaukee, la più popolosa dello stato), è infatti l’epicentro di una serie di vicende quasi surreali dall’esito delle quali, però, potrebbe dipendere la futura politica economica degli Stati Uniti d’America.

Tutto nasce con il budget fix presentato all’inizio di febbraio dal governatore Scott Walker. Per fronteggiare un deficit stimato (per il 2013) intorno ai 3 miliardi e mezzo di dollari, il governatore repubblicano decide di affrontare di petto la spesa pubblica, con un provvedimento che – tra le altre cose – limita pesantemente le possibilità di contrattazione collettiva ai sindacati dei dipendenti pubblici, che godono di privilegi sconosciuti ai lavoratori del settore privato. Apriti cielo. Colpite al cuore del proprio business principale, le unions del Wisconsin scendono in piazza per protestare contro il governatore, paragonato indifferente a Hitler o Mubarak e reo di voler seppellire decenni di progresso sociale, affamando i figli dei netturbini e dei maestri elementari. I senatori democratici locali fuggono addirittura dallo stato (in senso letterale) per impedire il raggiungimento del quorum nella votazione sul budget.

Domenica scorsa, circa 70mila manifestanti (qualcuno in meno di quanti speravano gli organizzatori) hanno riempito le strade di Madison per protestare contro un provvedimento che secondo Paul Krugman  “trasformerebbe il Wisconsin, e forse l’America, da una democrazia funzionante ad un’oligarchia in stile terzo-mondo”. Questa psicosi da “fine del New Deal”, arrivata con appena mezzo secolo di ritardo, ha colpito come un virus la sinistra progressista. Arrivando a toccare punte di parossismo, come nella crociata mediatica contro il malvagi fratelli Charles e David Koch (proprietari delle Koch Industries), colpevoli di aver donato 50mila dollari all’ultima campagna elettorale di Walker. A questo proposito, vale la pena di ricordare come i big donors più spendaccioni nella politica americana non appartengano quasi mai al settore privato, ma molto spesso al mondo dei sindacati. Basta dare un’occhiata alla classifica elaborata dall’organizzazione indipendente Opensecrets.org, in cui le unions dominano a colpi di decine di milioni di dollari (naturalmente a favore del partito democratico).

Il Madison Drama ha raggiunto il suo climax negli ultimi giorni, quando un migliaio di persone hanno “invaso” lo State Capitol per impedire il regolare funzionamento di Camera, Senato, Corte Suprema e Ufficio del governatore. Dopo essere stati invitati a sloggiare entro le 4 del pomeriggio di domenica, circa 500 manifestanti hanno pernottato in sede, con il permesso della polizia. Intanto Scott Walker, reaganiano di ferro, non batte ciglio e si propone di seguire le orme del 40° presidente, che nel 1981 affrontò (con successo) una crisi simile di fronte allo sciopero dei controllori di volo. Ieri il governatore ha dato ai senatori fuggitivi 24 ore di tempo per tornare a Madison e votare sul budget fix. In caso contrario, più di 1500 dipendenti pubblici potrebbero perdere il lavoro entro la fine dell’anno fiscale per ripianare i debiti dello stato.

L’opinione pubblica americana segue con attenzione il dipanarsi degli eventi, ma i sondaggi non dipingono un quadro univoco della situazione. Secondo Rasmussen Reports, il 67% dei cittadini statunitensi non approva la “fuga” dei senatori democratici e il 48% si schiera apertamente con il governatore (contro il 38% che appoggia i sindacati). Mentre per Gallup il 61% degli americani è contrario a leggi che impediscano la contrattazione collettiva. Una percentuale simile a quella dell’ultimo sondaggio commissionato da New York Times e Cbs (60 per cento), secondo il quale però i sindacati non godono affatto del supporto generalizzato dei cittadini.

La posta in gioco in Wisconsin, però, è troppo alta per affidarsi agli umori mutevoli dell’opinione pubblica. E i “pezzi grossi” del 2012 hanno già iniziato a schierarsi. Il presidente Obama appoggia esplicitamente e pubblicamente la protesta dei sindacati. Mentre Mitt Romney e Tim Pawlenty, in prima fila per le prossime primarie repubblicane, si schierano senza mezzi termini dalla parte di Walker. Finirà come con Reagan nel 1981 e la Thatcher nel 1985 (dopo un anno di sciopero dei minatori) o con il flop del government shutdown del 1995 che decretò la vittoria di Bill Clinton e la sconfitta dei repubblicani di Newt Gingrich? In ogni caso, si tratta di una battaglia destinata a segnare una tappa fondamentale in vista delle prossime elezioni presidenziali.

(da Il Foglio in edicola oggi)

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