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E’ iniziato tutto una domenica qualsiasi, entro al palasport Carnera col compagno di viaggio di una vita. Occhi abituati a guardare il basket americano su Telemontecarlo (Francicanava, poi Bagatta e Tullio Lauro) e ad accontentarsi del Lauro sbagliato (Franco) per la Serie A. Entriamo per vederci una partita di una certa Bernardi Udine. Coach Alberto Martellossi, play Oberdan o Corpaci, Ezio “havana” De Piccoli a svariare e svarionare, un tal Sguassero sotto le plance. Niente di che, ma era pallalcesto. L’abbiamo seguita con passione, convinti del fatto che il meglio dovesse ancora venire. E, puntualmente, quell’estate, arrivò. Aveva il piglio gentile dell’Ingegner Edi Snaidero, la storia di un cognome che a Udine significa “palla a spicchi” e il coraggio di chi si butta nella mischia. Due ore dopo l’apertura della campagna abbonamenti avevamo due abbonamenti per la curva, senza nemmeno sapere per cosa. Nomi scritti a penna su un foglietto di cartoncino e pronti a diventare un passaporto per il paradiso. L’idolo Lou Smalley, un Cedric Ceballos in salsa friulana, contropiedista vero anche se sapeva fare solo quello. Poi l’arrivo del Messia: epifania di basket in purezza, dolcezza e grinta, consapevolezza e sfrontatezza. Charlie Smith è stato per la pallacanestro quello che Zico è stato per l’erba verde del Friuli: inarrivabile. Per prestazioni ed emozioni. Dopo di lui il diluvio. Con lui, invece, una finale promozione vinta in un Carnera che vedeva gente seduta anche dentro i lampadari.
Dall’altra parte, Barcellona Pozzo di Gotto e un destino che segna le cose con l’evidenziatore. A tifare Barcellona c’è quello che poi diventerà un fratello acquisito. Quella sera io e Michele ridiamo, lui no. Si va in serie A, senza passare per il via. Festa in piazza, poi birra con Max, un capo ultras con maglietta Malagoli e passione arancione. Morirà, poche settimane dopo, in un incidente sull’A1. Un destino beffardo gli ha tolto la soddisfazione di vedersi i suoi campioni alla scala del basket.
La Serie A, appunto. Un’altalena di emozioni, delusioni, sorprese. Chi scrive si innamora di Kyle Hill e Andres Wooldrige, ma anche di Carraretto (poi Siena), Eddie Shannon e Vetoulas. Michele impazzisce per Marmarinos (ellenico! ellenico!), Carbonara MgGhee ed Estill. Quest’ultimo visto al Krepapelle in una serata di live e mojito e fotografato poco prima che dicesse addio causa caviglia cristallina (nel senso di cristallo).
Nella mente e nel cuore un sacco di cose. Impareggiabili la serie contro i cugini cucinieri della Scavolini e l’attimo in cui Sinisa Kelecevic affonda i cugini triestini e li rispedisce all’inferno. Ma davvero toccante la sequenza con cui Shannon vince una gara all’ultimo tiro e corre in tribuna ad abbracciare President Edi che ha appena perso il papà. Un Carnera con i lucciconi ricorda al mondo che lo sport è ancora in grado di commuovere. Prima, dopo e durante è sostanzialmente vita tranquilla di provincia, però è vita bella.
Gli ultimi anni sono sofferti e si chiude con una retrocessione in LegaDue che è prodromo della fine. In realtà l’appello di Edi fa scattare la molla dell’orgoglio friulano e così una compagine di imprenditori capeggiata dal trio Snaidero-Blasoni-Pozzo decide di proseguire l’avventura. Avendola vissuta in prima persona ho sulla pelle sensazioni contrastanti. Coach Cavina e la sua maniacalità, l’eccellente Garelli con un’umanità pari solo al suo accento e un gruppo di ragazzi eccezionali rendono possibili due anni non memorabili ma certamente di livello. Finanziariamente se ne esce con le ossa rotte e, noblesse oblige, nessuno ha il coraggio, il tempo, la voglia di stare qui a dire la verità. Che poi, è molto semplice: c’è qualcuno che ha fatto la sua parte e qualcuno che ha preferito guardare la barca affondare. Magari appesantendola con qualche carico di manchevolezze, quando l’equilibrio già era precario.
Peccato. Però è il tempo dei saluti e sarebbe ingiusto sprecarlo così, rammaricandosi di quel che avrebbe potuto essere. Trattenere le emozioni in questi giorni non è stato facile. Quelle due pagine del Messaggero Veneto che annunciavano la resa e la mancata iscrizione al campionato rimangono stampate lì, a futura memoria. Si dirà che qualcuno è mancato, si dirà degli avvoltoi che si sono librati in “volo” un secondo dopo (o prima) della fine. Si dirà delle firme messe e di quelle non messe. Si dirà dei primi cittadini e dei cittadini semplici. Si diranno un sacco di cose. Ma non si dirà mai “grazie” a sufficienza: a chi ci ha messo soldi, tempo, voglia, passione, capacità, lacrime e sorrisi. Perché se questo pezzo è stato scritto è perché per 12 anni c’è stato un Carnera capace di sintetizzare un amore così grande. Giocatori, proprietà, tifosi, dirigenti: erano tutti al Palazzo il giorno della promozione e c’erano allo stesso modo quando il sipario è sceso su questa esperienza. Lo chiamano basket, ma è davvero troppo poco per spiegare tutto questo. Arrivederci.