Character assasination
In Italia funziona così: se sei abituato a dire un sacco di banalità molto politically correct finisci a fare l’editorialista su Repubblica. Se invece ami dire cose intelligenti e un po’ fuori dagli schemi finisci su Repubblica ugualmente, ma con un editoriale al vetriolo che punta a distruggere la tua credibilità.
E’ successo anche a Michel Martone, professore, tecnico e enfant prodige del Governo Monti. Nome ottimo per stare a Ballarò fino a che le sue parole potevano essere usate come una clava contro il Governo Berlusconi. Poi non serviva più e quindi la sinistra mediatica lo ha rimosso rapidamente dal pantheon, come capita a tutti quelli che non si allineano al radicalismo chic di casa nostra.
Il nostro riemerge dall’oblio quando viene nominato sottosegretario dell’ottimissimo governo Monti. Suscita qualche risatina e mini polemiche. Ma è poca roba rispetto allo tsunami scatenato ieri da questo ragazzo che fisicamente ricorda Gramsci, anche se ha idee notevolmente migliori. Del pensatore che a Livorno contribuì a fondare il Partito Comunista Italiano, ahilui, non aveva mandato a memoria la lezione sull’egemonia culturale e così ha dovuto sorbirsi un trattamento niente male, roba che quello Boffo, a confronto, era uno shampoo dal parrucchiere.
Andiamo ai fatti, che sono sempre un pochettino migliori delle opinioni. Ieri Michel Martone interviene ad un convegno sull’apprendistato e dice cose che non avrebbe dovuto dire in quei termini. Per chi scrive la cosa è irrilevante. Ha espresso concetti assolutamente sensati e il fatto d’aver detto “sfigato” in luogo di “non è una best practice” non rappresenta un motivo buono per far finta di non aver sentito.
Però lo sport preferito degli italiani è quello di cambiare sempre e comunque argomento, di qualsiasi cosa si parli. Martone dice quel che dicono l’Unione Europea, l’Ocse e larga parte delle persone di buonsenso: se ovunque la gente si laurea a 23-24 anni ed entra nel mercato del lavoro l’anno dopo, mentre qui da noi tutto si posticipa di almeno 5 anni, serve porsi qualche domanda. Meglio se non banale. E per farlo (bravo!, non smetteremo mai di dirglielo) ricorda a tutti quanto debba essere apprezzato chi sceglie percorsi professionali in luogo di lunghi parcheggi accademici.
Adesso prendete il pezzo dell’ Espresso, prendete quello del Fatto Quotidiano e leggetevi le migliaia di tweet con hashtag #martone o #sfigati. Vi sembra che qualcuno affronti il tema? No, ovviamente. Perché il problema non è il tema in sè, un paese completamente ripiegato su sè stesso e un sistema formativo e scolastico sensibilmente disallineato rispetto al mercato del lavoro reale. No. Il tema vero, quello da affrontare con insospettabile urgenza, si chiama Michel Martone. Sono le sue amicizie, la sua carriera universitaria, le ragioni della sua nomina a sottosegretario.
L’attualità politica di questa penisola popolata da 60 milioni di commissari tecnici della nazionale esperti contemporaneamente anche di spread e titoli pubblici è rimasta tutta concentrata su quegli occhialetti a metà tra Gramsci ed Harry Potter. Così l’Espresso si interroga sulle modalità con cui Martone è diventato professore ordinario e, anche se abbiamo cercato a lungo, ci accorgiamo che trattasi di incredibile eccezione: nessun’altra carriera universitaria dei membri del Governo è stata anche solo minimamente sfiorata. Eppure i “figli di” o gli “amici di” non mancano di certo.
Anche sulla sua nomina fioccano retroscena. C’è la mano di Brunetta, l’imprimatur di Sacconi, le pressioni di Previti. Ovviamente è l’unico che piace a qualche politico, mentre Corrado Passera, Andrea Riccardi o Carlo Malinconico erano tutti signori che passavano casualmente di lì ed erano (e restano) perfettamente indifferenti alle segreterie di partito e ai loro desiderata.
Anche se comprendiamo come sia difficile spiegare all’Espresso o al Fatto Quotidiano che essere figli di un conoscente di Previti non integri alcuna fattispecie di reato, vorremmo aver ascoltato una e una sola parola di critica sul merito di quel che Martone ha detto.
Se Michel Martone continuerà a sostenere che chi a 28 anni (senza ragioni plausibili) sta ancora all’Università, mantenuto dai genitori e senza uno straccio di lavoro, rischia di essere travolto da un mercato globale del lavoro e delle competenze certamente più veloce del nostro paternalismo da quattro soldi, noi staremo senza se e senza ma con Martone. Anche contro quelli che non potendo confutarlo con i numeri ci provano con il fango.