Ma che colpa abbiamo noi?
E’ diventato un luogo comune come gli altri. Non ci sono più le mezze stagioni, Pippo Baudo è un professionista e la crisi economica è colpa del liberismo-selvaggio (in Italia si scrive tutto attaccato) inaugurati da Ronald Reagan e Margaret Thatcher.
Non si tratta di una novità, ma di un rigurgito. Sopito per un po’, ha covato sotto la cenere in tutti questi anni. Una fortunata citazione di Fran Lebowitz – l’intellettuale della sinistra new yorkese nota per le sue battute fulminati e per il blocco dello scrittore che le impedisce di pubblicare alcunché da decenni – recita: “In Unione Sovietica il capitalismo ha trionfato sul comunismo. In America il capitalismo ha trionfato sulla democrazia”. Un aforisma che racconta un pregiudizio profondo. Lo stesso pregiudizio che porta al riflesso condizionato: la colpa della crisi economica è dell’economia di mercato, del capitalismo globalizzato, del liberismo. E, ovviamente, dei suoi profeti.
Accade nei paesi anglosassoni dove la rivoluzione di Reagan e Thatcher è stata almeno studiata. Figuriamoci in Italia dove – per gli intellettuali di casa nostra, ancora fermi a “Quelli della Notte” e “Drive in” – gli anni 80 furono semplicemente l’era dell’edonismo reaganiano e dell’egemonia sottoculturale berlusconiana.
Ma che colpa ne hanno Reagan, la Thatcher e i neoliberisti se l’Europa statalista e interventista sta esalando l’ultimo respiro ed è costretta a fare i conti con la realtà? Cominciamo da capo. Il liberismo crede che il mercato (e non lo stato) sia lo strumento più efficiente per creare e distribuire ricchezza. Crede che la spesa pubblica sia fondamentalmente meno produttiva di quella privata e che le tasse abbiano un effetto depressivo sull’economia. Crede che lo stato, come ogni buona famiglia, non debba spendere più di quanto può permettersi, perché se fa troppi debiti, prima o poi i creditori busseranno alla porta e allora saranno guai. Crede insomma in una serie di regole di buon senso che sono fondamentalmente piuttosto condivise ormai. Ma che – volendo – possono essere contestate, discusse, confutate (se ci si riesce).
Ci sono cose che, secondo i neoliberisti, i governi devono fare: liberare l’economia dall’interferenza dello stato, privatizzare i servizi pubblici, liberalizzare i settori non strategici, consentire il libero scambio internazionale.
Poi ci sono cose che i neoliberisti non dicono affatto. Non dicono ad esempio che si possano compiere reati in ambito finanziario o che le banche debbano prestare soldi senza garanzie, magari con il placet dello stato. E, soprattutto, non dicono che chi viola le regole debba restare impunito e chi fa investimenti sbagliati debba essere salvato dal fallimento e risarcito.
Se questo è accaduto (e cioè se chi ha violato le regole è rimasto impunito e chi ha fatto investimenti sbagliati è stato salvato) non è colpa del liberismo, non è colpa del mercato, non è colpa del capitalismo. E’ colpa della politica che non ha punito chi violava le regole e ha premiato chi doveva fallire. Se c’è una caratteristica davvero spietata del paradigma capitalista è proprio quella della responsabilità: chi rompe, paga. L’eccesso di libero mercato non c’entra né con la crisi dei subprime né con la formazione dei mostruosi debiti pubblici nazionali.
Sull’orlo del baratro e del fallimento non c’è il liberismo, ma lo stato interventista. Abituato a finanziarsi con l’inflazione e con il debito pubblico, ora ha toccato il fondo e per avere una speranza di salvezza deve cambiare registro e rinunciare ad un bel po’ del suo potere.
Al contrario di quel che racconta la vulgata, insomma, possiamo solo sperare in una classe politica abbastanza lucida da adottare una politica liberista. “La risposta ad un governo troppo grande – diceva Reagan – è quella di smettere di nutrire la sua crescita”.
Oggi, 6 febbraio 2012, Ronald Reagan compirebbe 101 anni. E mai come in questo momento ci sarebbe bisogno di lui. O della sua alleata Margaret Thatcher. Perché non è di filosofi, professori o di economisti che avremmo bisogno ma di politici capaci di opporsi alla cultura dominante in Italia – a sinistra come a destra – che, ancora, idolatra lo stato. C’è qualcuno che ha il coraggio finalmente di “affamare la bestia”?