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Ma c’è l’inno nuovo
Deve essere il clima da festival di Sanremo se adesso il Popolo della libertà ha un nuovo inno. E deve essere sempre per lo stesso fattore che immediatamente qualcuno ha gridato al plagio, lasciandoci a bocca aperta: gli Articolo 31 esistono ancora o per lo meno J-Ax non è sparito dalla circolazione.
L’inno, firmato Silvio Berlusconi. Era il 1994 quando sulle televisioni italiane cominciò a riecheggiare quello di Forza Italia, note che hanno fatto la storia della comunicazione politica italiana. Un nuovo capitolo, anzi: una nuova epoca del modo di fare politica in questo paese che adesso si affida ai tecnici mentre ripartono le più classiche delle concertazioni stile Prima Repubblica sulla legge elettorale. C’è anche la sigla pronta per i media: A(lfano) B(ersani) C(asini). Perché è la legge elettorale che conta ai partiti per sopravvivere: una forma di lottizzazione come tante altre. E dunque un inno ci casca bene.
Tessere (spesso finte). Correnti. Congressi. Assemblee. Riunioni. Intanto monta l’antipolitica, ma paradossalmente i partiti sono sempre lì, invadono qualsiasi spazio di discussione. Nominano, costruiscono e disfano. Adesso il Pdl potrà farlo sulle note del nuovo motto: ch splende il sole, si va verso la primavera, c’è il tepore dell’amore e non la crudezza dell’odio. Poco importa che nessuno dica più qualcosa di destra (oddio, staremo mica diventando dei Nanni Moretti?), che non si legga da qualche parte quale sia la posizione del Popolo della libertà sulle liberalizzazioni, l’articolo 18, la crisi diplomatica con l’India. Angelino è troppo preso, si capisce: starà imparando a memoria strofe e ritornello. E si vede che tutti gli altri faranno da coro, perché anche di loro nessuno traccia.
Ma adesso c’è l’inno nuovo. Vale come minimo cinque punti percentuali in più tra l’elettorato. Peccato non averci pensato prima: avrebbero potuto inserirlo nella lista delle canzoni del Festival.