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Politica e Professori
La vicenda dei fucilieri italiani trattenuti dal governo indiano si rivela l’ennesima occasione in cui l’Italia sta dimostrando al mondo il clima di incertezza e di precarietà che la agita, ma soprattutto mette a nudo la grande confusione dei ruoli politici che affligge nazione. Mentre attendiamo con trepidazione una qualsiasi posizione del premier sul caso di Rossella Urru, con circa venti giorni di ritardo Mario Monti ha deciso di alzare, se non la voce, almeno la cornetta. Ha composto il numero del suo omologo indiano, Manmohan Singh, e gli ha spiegato che il modo in cui l’India sta gestendo la vicenda dei nostri marò rischia di creare un “pericoloso precedente”. Monti è stato talmente efficace e deciso nelle sue posizioni che Singh ha deciso di trattenere i marò con sé ancora per un po’.
Lento. Il Presidente del Consiglio è stato lento. Lento in tutti i sensi, anche per come la intenderebbe Adriano Celentano. Non possiamo dire a questo punto se una reazione più rock avrebbe dato frutti migliori, ma è certo che questa non ha dato alcun frutto, o almeno non ne sta dando ancora.
Il punto è che, mentre giravano voci di cobra lunghi due metri a spasso per il carcere indiano che ospitava i nostri connazionali, la rete era affollata di appelli per la loro liberazione e il governo taceva. Oggi c’è come il timore reverenziale di ammettere che ha fallito, ma in effetti l’ha fatto, e su due diversi fronti. Da un lato non ha saputo intervenire in modo incisivo e tempestivo. Dall’altro non è stato capace di ascoltare il polso del paese. In situazioni del genere, venti giorni sono davvero tanti. La reazione del Presidente del Consiglio non può che essere accolta come una mossa fuori tempo.
Ma dal giorno dell’insediamento del governo tecnico, il clima politico in Italia si è fatto come imperscrutabile. Fatta eccezione per alcuni casi isolati, le critiche al premier non sono quasi mai troppo decise. Scappellamenti alternati a deboli riserve sul suo operato, elogi e dubbi fugaci.
E poi ci sono certe voci dell’informazione che, barcamenandosi in questo equilibrio instabile, entrano facilmente in contraddizione. Un esempio di schizofrenia mediatica: il Tg di La7 del 7 marzo. Durante i titoli d’apertura Enrico Mentana commenta: Il governo finalmente fa la voce grossa con l’India”. E continua dicendo che il premier indiano non deve essersi “turbato eccessivamente” per la telefonata di Monti. “Al massimo – dice – ha concesso che i nostri due scontino l’attuale carcere preventivo in una struttura diversa da quella carceraria””. Un modo diplomatico per dire che la telefonata non ha sortito alcun effetto. Eppure, durante il servizio mandato in onda pochi minuti dopo, il tono è nettamente diverso. Si dice che sulla vicenda marò Palazzo Chigi è entrato “prepotentemente in scena”, ma “dopo aver a lungo ascoltato le ragioni indiane”. Si lascia intendere che questi venti giorni il governo li abbia passati a studiare attentamente la vicenda e sia intervenuto solo quando era davvero opportuno farlo.
Questo è il doppio atteggiamento tenuto tanto spesso dai media nazionali e dalla maggior parte dei politici. La politica sostiene pienamente Monti, ma anche no. Perché non si sa mai, un giorno arriveranno le elezioni e allora i partiti dovranno rispondere anche di come si sono posizionati di fronte all’intervallo montiano. Si resta in bilico come funamboli perché si vuole restare in gioco.
Serpeggia l’idea che i tecnici possano resistere, ricoprire il ruolo di politici anche dopo il 2013. Sarà… Fatto sta che davanti al Pantheon, a chiedere fermamente il rispetto dell’Italia e della sua sovranità nazionale, a sostenere la voce della gente e a chiedere che il premier si comportasse da premier, il 6 marzo c’erano i politici, non i tecnici.