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Trinariciuti 2.0
Una volta avevano tre narici e rispondevano con obbedienza cieca, pronta e assoluta alle indicazioni di partito pubblicate sull’Unità con tanto di refuso e conseguenze assurde, del tipo gente che mastica erba perché anziché “vogliamo un’Italia senza preti” la frase suonava “vogliamo un’Italia senza prati”. Il genio umoristico di Giovannino Guareschi troverebbe innumerevoli fonti d’ispirazione ancora oggi, sbirciando tra i social network.
La questione è nota e ogni volta che ritorna finisce per negare l’assunto per cui il web sarebbe in grado di influenzare il dibattito politico. Ieri su twitter era la volta del tormentone #siamonoi e così diversi utenti (che non fanno un popolo) hanno rilanciato le battaglie sui temi sociali, economici e ambientali, secondo il leit motiv per cui #siamonoi che dobbiamo cambiare le cose. E ripescato dalla memoria l’idea rivoluzionaria che faceva proseliti un anno fa, sulla scia delle rivolte arabe. È passato appunto un anno e nulla è cambiato: i rivoluzionari da tastiera hanno fallito il loro obiettivo. 140 caratteri o link condivisi su facebook in perfetto stile trinariciuto. In inverno era il motto #iononevado, poi è arrivato il festival di Sanremo, adesso la vicenda Calearo: notizie riportate dai media tradizionali (dalla lotta natalizia all’evasione fiscale ai commenti degli opinionisti sulla boutade del parlamentare ex Pd) sulla cui scia si infilano gli internauti. Non c’è nulla di originale, piuttosto si assorbono le indicazioni mainstream.
È la dannazione alla quale gli artefici del presunto popolo del web si sono auto-condannati: l’idea che dal mondo virtuale possa scaturire il reale e influenzare quindi la vita comune. In tempi di elezioni il fenomeno esplode in tutto il suo clamore, sottolineando spesso la presenza massiccia di attivisti progressisti, liberal e, in generale, di sinistra, che si danno da fare per la campagna elettorale. I risultati sono sterili se a conti fatti in Europa la maggioranza dei governi è ricollegabile all’area di centrodestra. In Italia quella parte che aveva celebrato l’insediamento dell’esecutivo di Mario Monti come fine dell’era berlusconiana, nella maggior parte dei casi è la stessa che promette battaglia sull’articolo 18: il professore non tema, i precedenti lasciano intendere che non accadrà nulla di particolarmente pericoloso. Se i trinariciuti guareschiani avevano lasciato il cervello all’ammasso del Pci, quelli formato 2.0 lo hanno riversato sui tasti.
Non ha motivo di preoccuparsene nemmeno il Partito liberale democratico tedesco (Fdp) che recentemente ha espresso timori per il successo alle elezioni regionali del Partito dei pirati, movimento politico internazionale che ha nel web la base operativa. Dall’Fdp hanno paventato la minaccia di una «tirannia delle masse» alimentata dalla rete con proclami populistici e anarchici. Più concretamente, sembrerebbe la moda del momento: pirati da una parte, anonimi dall’altra, fino a quando su twitter qualcuno scriverà #contrordinecompagni e i rivoluzionari si dedicheranno ad altro, come degli esemplari membri di partito.