Attento, il tuo frigorifero è uno spione in rete

Facebook, per stessa ammissione del suo fondatore, è nata “per connettere le persone di tutto il mondo”: una rivoluzione che ha permesso a milioni di persone di condividere, praticamente a costo zero, contenuti di ogni tipo, a ogni ora del giorno e con qualsiasi persona dotata di semplice accesso a internet. Quando ha lanciato il suo social network, Mark Zuckerberg non aveva certamente immaginato che la realtà si sarebbe poi spinta molto oltre. Secondo l’ultimo rapporto di Forrester Reasearch sulle tecnologie emergenti dei prossimi cinque anni, infatti, vivremo un futuro iperconnesso in cui a dialogare con la rete saranno sempre più utenti ma anche e soprattutto sempre più oggetti e dispositivi. La rivoluzione della cosiddetta “Internet of Things” sarà nei prossimi anni qualcosa di più di una semplice tendenza: già oggi siamo abituati a case in cui gli impianti di riscaldamento sono comandati con un’app, i servizi di sorveglianza ci offrono report direttamente sul telefonino, le tv sono sempre più “smart” e ampliano l’offerta garantita da antenna o parabola con nuovi contenuti che arrivano direttamente da internet, mentre auto intelligenti studiano le nostre abitudini per offrirci percorsi più veloci e garantirci consumi più ridotti.

Secondo il report di Forrester, poi, dovremo abituarci anche a un nuovo modo di fare marketing. Non più campagne di comunicazione massive e indistinte ma un continuum di informazioni che trasformeranno la pubblicità in dialogo. Per Brian Hopkins e Adam Silvermann, curatori del progetto, questo implicherà l’utilizzo sempre più pervasivo di strumenti in grado di raccogliere dati e, automaticamente, dialogare con l’utente offrendo promozioni particolari in occasione di ricorrenze come compleanni o anniversari di matrimonio o ritagliando su misura per ogni singolo consumatore la pubblicità che viene offerta. Se nel tuo “frigo intelligente” si sta svuotando lo scomparto dedicato alle birre è molto probabile che sul tuo telefonino o nel sito che stai visitando troverai una pubblicità che ti offre la tua birra preferita al prezzo più basso nel negozio più vicino.

Attenzione, però: non è tutto oro quello che luccica. Essere costantemente collegati alla rete e vivere circondati da oggetti che trasmettono in continuazione dati, porta con sé una serie di interrogativi a cui bisognerà dare, presto o tardi, una risposta adeguata. Il più importante riguarda la sicurezza. Entro il 2020 saranno collegati stabilmente a internet più di 20 miliardi di dispositivi di ogni tipo. E se strumenti come Pc, tablet e telefoni cellulari sono pensati e progettati per essere (in teoria) costantemente aggiornati e sicuri, non si può dire lo stesso di frigoriferi, impianti di illuminazione, dispositivi per il monitoraggio della salute. Il rischio concreto è, insomma, che le nostre reti domestiche e aziendali vengano presto popolate da oggetti totalmente insicuri da rappresentare un punto di accesso facile e pericoloso per hacker anche molto meno esperti e tecnicamente raffinati di quelli a cui siamo abituati.

Fantascienza? Neanche per sogno. Il 21 ottobre scorso un imponente attacco hacker a una società che eroga servizi per il funzionamento della rete è stato in grado di mandare offline per molte ore colossi del web come Netflix, Ebay, Twitter e Spotify. Al di là dei dettagli tecnici dell’operazione, quello che è interessante notare è che tutto è stato reso possibile da un virus che fa automaticamente una cosa molto semplice: scandaglia le reti alla ricerca di dispositivi collegati a internet e cerca di accedervi usando username e password standard fornite dai produttori. L’attacco hacker ha riguardato più di 500mila device: non tutti sono stati utilizzati, ma la vulnerabilità di pochi ha generato un devastante effetto domino in grado di mettere in ginocchio grandi corporation.

C’è poi il tema, per nulla banale, della privacy. Più connessioni significa più dati. Più dati generano maggiori controlli e, se in alcuni campi (come quello sanitario) l’innovazione è certamente positiva, è evidente che il diritto alla riservatezza tende a restringersi. Quando ci iscriviamo a un servizio online, siamo costretti ad accettare disclaimer e privacy policy che nessuno di noi legge mai veramente. Teoricamente, al mutare delle condizioni, ci dovrebbe essere richiesto un nuovo consenso informato. Ma una procedura di questo tipo, già oggi soltanto formale, è praticabile se non siamo noi a connetterci a un servizio attraverso uno schermo ma sono gli oggetti stessi che trasmettono dati a ciclo continuo sulla rete?

La legge è abituata per definizione a regolare situazioni statiche e tipizzabili, in cui le procedure standard garantiscono certezza del diritto e protezione dei cittadini. Il rischio è che questa rivoluzione sia dirompente e metta in discussione non solo il rapporto tra aziende e consumatori ma anche quello, molto più complesso, tra cittadini e Stato. È difficile, infatti, immaginare parlamenti e governi in grado di regolare efficacemente un ambito così complesso e che fa dell’innovazione continua e del superamento dei limiti la cifra più importante della sua esistenza. Per tacere del fatto che stiamo parlando di fenomeni che non hanno sedi fisiche, non hanno confini nazionali, non rispondono alle logiche classiche dei processi economici tradizionali. Lo Stato, questa volta, potrebbe essere costretto a restare a guardare: non è detto che sia un male, anzi. Ma servono utenti informati e con una solida cultura digitale. Per difendere i propri diritti e la sicurezza di tutti.

© Il Giornale, 19 dicembre 2016


 

468 ad