Goin’ South – 2 – Escaping Sandy
Il cielo è grigio e comincia a piovigginare, lunedì a Glen Allen, Virginia. Tira anche un discreto vento: il segnale che Sandy si avvicina e che qualche refolo arriva anche nella zona di Richmond, nell’interno dunque e non solo sulla costa.
La tv comunica la chiusura delle scuole e degli uffici pubblici. Ma il vero sentore del pericolo c’è la danno i camionisti riuniti dalla protezione civile locale nella sala della prima colazione del nostro albergo/motel. Prendiamo il caffè e ascoltiamo anche noi. Le indicazioni sono chiare: solo chi è diretto a ovest o a sud può ripartire. Per gli altri l’ordine è di fermarsi e aspettare che Sandy sia passata.
Il coraggioso trio non se lo fa ripetere due volte. Caricati in auto i bagagli si decide di mettere più chilometri – pardon, miglia – tra sé e l’uragano. Direzione sud ovest, per non sbagliare. E siccome la campagna elettorale è inchiodata alla spasmodica attesa dell’urto di Sandy, tanto vale affrettarsi, utilizzare viaggiando questo tempo politicamente morto e arrivare il prima possibile in Florida, swing state importante e nostra metà finale sin dall’inizio. È lì che, se siamo fortunati, possiamo avere qualche chance di incontrare Romney o Ryan nei giorni finali del loro “victory tour”. Cominciano così due giorni che più on the road non si può. Prima lunga tirata fino a Savannah, Georgia. Ci si consente solo una breve tappa a Durham, sede delle università più conosciute della North Carolina: la Duke e la North Carolina University. Nei quartieri vicino ai college la gara dei segnali da giardino finisce in parità. Molti Romney, altrettanti Obama. Nessuno dei viaggiatori è in età da iscriversi al college e perciò l’interesse della missione (fatta salva l’invidia per i posti magnifici dove studiano i ragazzi americani) è tutta rivolta ai gadget. Le squadre di basket delle due università poi hanno colori bianco-azzurri e sono il target assoluto del più alto del gruppo. Saccheggiato il primo negozio disponibile, si riparte.
Le strade sono larghe, la natura bellissima ma un po’ noiosa. Per ammazzare il tempo ci si mette a fare la conta dei bumber stickers sulle auto. Una gara che Mitt Romney vince senza appello. Pochissime le auto incontrate con l’adesione di Obama. Il rapporto è grosso modo 8 a 2. Man mano che si abbandona la North Carolina e si passa alla South Carolina, Obama scolorisce e sparisce. Poche pubblicità, ma soprattutto pochi prati conquistati davanti alle case. Dixie non impazzisce per Barack. Ci fermiamo a dormire alle porte di Savannah. Il nostro motel si chiama Red Roof, un tetto rosso (repubblicano?) al confine della Georgia. Il giorno dopo un’altra maratona. Il comitato elettorale ci ha fatto sapere che Romney ha reinserito in agenda un appuntamento per mercoledì mattina a Tampa, Florida.
Decidiamo di fare tutta una tirata e dormire vicino al luogo stabilito per l’evento in modo da non fare tardi. Potrebbe essere l’ultima occasione di partecipare ad uno degli eventi principali. Passiamo di nuovo la giornata in auto: vita da camionista. Ci godiamo il mondo dei motel e delle grandi catene di ristoranti e fast food che animano le aree di servizio delle autostrade americane. Felici come liceali in gita. Sulle strade georgiane Obama è quasi assente. Di Romney invece si vedono più tracce. Non solo sugli adesivi delle auto, ma anche nei grandi messaggi pubblicitari dei suoi sostenitori.
Uno su tutti quello del camionista che parcheggia il camion ai bordi dell’autostrada. Dalla sua gru sventola un’enorme bandiera americana, ai lati due enormi cartelloni del candidato repubblicano. Intanto la vegetazione cambia. Arrivano i pini, le querce e cominciano a spuntare qua e lá le prima palme. Siamo già in Florida, il tempo è volato. Il cielo azzurrissimo, il clima mite ci fanno dimenticare per qualche ora da dove veniamo e cosa sta succedendo in New Jersey e a New York. Sandy sembra roba di un altro mondo. Ma purtroppo basta accendere la tv per tornare con i piedi per terra.