USA 2012 – 08. IOWA
Questo articolo – pubblicato su Il Foglio – è l’ottavo di una serie dedicata agli swing states delle elezioni presidenziali Usa. Ecco i link agli articoli precedenti: Colorado, Nevada, Florida, North Carolina, Virginia, New Hampshire, Wisconsin.
Al gran traffico di bus elettorali e aerei pieni di politici, ormai, gli abitanti dell’Iowa hanno fatto il callo. Per loro la campagna presidenziale inizia sempre molto presto, a gennaio, con il caucus che apre la battaglia interna ai partiti per la designazione dei candidati alla Casa Bianca. Si tratta della prima sfida in assoluto e precede di una settimana le primarie del New Hampshire. Questo primato, insieme alla fama di tradizionale “swing state”, trasforma l’Iowa in un osservato speciale della politica anche nel 2012: giornalisti accampati per mesi, radio e tv inondate di messaggi pubblicitari e un fitto calendario di visite presidenziali. Il tutto per conquistare appena 6 voti elettorali.
Con il censimento del 2010, infatti, l’Iowa registra una crescita demografica inferiore al resto degli Stati Uniti e perde un grande elettore rispetto alle passate elezioni. Un trend di declino che comincia già alla fine dell’Ottocento, quando l’Iowa poteva assegnare ben 13 voti elettorali. Tanto interesse ai giorni d’oggi, malgrado il magro bottino a disposizione, è presto spiegato: l’Iowa ha un significato anche simbolico. Nel 2008 è il centro emozionale della campagna di Barack Obama. Il suo caucus lancia il futuro presidente nell’olimpo degli sfidanti democratici, preferendolo alla favoritissima Hillary Clinton e dando così il via alla sua volata verso la Casa Bianca. Anche nello scontro con John McCain, l’Hawkeye State non tradisce Obama: lo premia a novembre consegnandogli i suoi voti elettorali (ancora 7 per l’occasione) e un margine di 9,53% sullo sfidante repubblicano. Obama vince in 53 delle 99 contee (32 confermate per i democratici, 21 strappate al Gop) e stabilisce il record per il più alto numero di preferenze incassate nella storia dello stato da un candidato alla presidenza di qualsiasi partito: 828.940 voti (76.983 più del record precedente segnato da Bush nel 2004).
Si tratta di una vittoria molto netta, piuttosto inusuale. Nel 2004, per esempio, George W. Bush vince per soli 10mila voti, dopo aver perso nel 2000 per meno di 5mila preferenze. Quest’anno, in assenza di euforia per la novità obamiana, l’Iowa sembra tornato alla sua condizione naturale di stato in bilico. Almeno stando ai sondaggi che vedono i due sfidanti praticamente alla pari. Ma andiamo con ordine.
L’Iowa è un piccolo, omogeneo, stato rurale del Midwest, composto in larga parte da piccole città e zone agricole. Sembrerebbe, a prima vista, un perfetto esempio di American Heartland, se non fosse per l’invecchiamento della popolazione e la quasi assoluta mancanza di “diversità” etnica (90% di popolazione bianca) che ne rendono ancora più bizzarro il ruolo importantissimo che i suoi caucus ormai rivestono nel meccanismo di selezione dei candidati alle presidenziali. L’Iowa porta il nome di una tribù indiana (tra le tante che abitavano quelle terre), fa parte delle terre colonizzate dai francesi e comprate dal presidente Thomas Jefferson insieme alla Louisiana. L’interesse strategico e geopolitico della zona cambia nel corso dei decenni. Quando viene acquistato, Jefferson lo considera un territorio chiave per il commercio tra New Orleans e il nord dell’America profonda. Per i traffici economici degli Stati Uniti i fiumi (che oggi segnano i naturali confini dello stato) sono vere e proprie autostrade necessarie per il trasporto delle merci: Mississipi ad est, Missouri e Big Siuox ad ovest, Des Moines a sud. Impensabile lasciarli in mano francese. Poi, quando i coloni anglofoni si trasferiscono in massa e trasformano le pianure in coltivazioni, l’Iowa diventa la “Capitale mondiale del cibo” e l’importanza strategica dello stato acquista un nuovo volto: i suoi cereali sfamano mezzo esercito dell’Unione durante la Guerra Civile.
Ma dopo la Grande depressione vivere di sola agricoltura non basta e l’Iowa cambia di nuovo sviluppando, accanto alle grandi coltivazioni, manifatture e terziario. L’Iowa, in breve, è uno stato abituato a cambiare pelle e ad attirare via via persone diverse. Una storia che, almeno in parte, spiega anche i suoi mutamenti elettorali. Dalla prima volta che il Gop appare sulla scena politica nazionale, nel 1856, si susseguono 39 cicli elettorali: il partito democratico se ne aggiudica 10 e il partito repubblicano 29. La percezione dell’Iowa come stato di tendenza democratica, insomma, è decisamente recente.
Dal 1856 al 1912 (oltre mezzo secolo), il Gop ha un controllo pressoché totale. Solo nel 1912 infatti, con Woodrow Wilson (in una gara a tre contro il repubblicano William H. Taft e Theodore Roosevelt che corre sotto la bandiera del Progressive Party) il Partito democratico riesce per la primissima volta ad afferrare la vittoria (+4,5%). Dura poco: Wilson perde lo stato di nuovo nel 1916 contro Charles Hughes (+12%). Franklin Delano Roosevelt vince nel 1932 e nel 1936, ma non riesce a confermarsi nel 1940 contro Wendell Willkie, né a riconquistare l’Iowa nel 1944 contro Thomas Dewey. Harry Truman, figlio del vicino Missouri, conquista a stento lo stato nel 1948 (+2,5% sempre contro Dewey). Nel 1952, la vittoria “landslide” di Eisenhower riconsegna l’Iowa saldamente nella colonna repubblicana.
L’Hawkeye State mostra una reazione quasi allergica persino a John F. Kennedy nel 1960: Richard Nixon lo batte con più di 13 punti percentuali di distacco. Solo Lyndon Johnson riesce a strapparlo dalle mani repubblicane con il suo inarrestabile trionfo del 1964, ma lo stato torna poi al Gop nel 1968 e rimane saldamente repubblicano per i vent’anni a venire. Jimmy Carter non riesce a sfondare e lo stato sceglie Ronald Reagan in entrambe le competizioni elettorali, anche se con un margine che si riduce dopo il primo mandato (+12,7% nel 1980, +7,4% nel 1984). È in questi anni che la svolta a sinistra comincia a intravedersi. Nel 1988, l’Iowa è uno dei tre stati del Midwest (insieme a Minnesota e Wisconsin) a preferire Michael Dukakis a George Bush Sr. (+10,2%). Da allora, lo stato premia il candidato democratico in 5 elezioni su 6, cambiando radicalmente le proprie attitudini elettorali.
Malgrado questo mutamento, le elezioni del 2000 e del 2004 producono, come già accennato, risultati sul filo del rasoio. Solo nel 2008 si assiste ad una vittoria decisamente ampia. Merito anche del lungo lavoro compiuto in Iowa dalla campagna di Obama e dal radicamento sul territorio coltivato sin dai giorni del caucus di gennaio. Una delle caratteristiche peculiari della campagna elettorale in Iowa (che fa perdere tempo e denaro a tutti i concorrenti) è che per vincere lo stato non è sufficiente vincere bene in alcune contee più popolose. Occorre conquistare voti e fare propaganda su tutto il territorio. Le 99 contee infatti sono hanno grosso modo tutte le stessa ampiezza geografica e sono molto incostanti a livello elettorale: i repubblicani continuano ad essere competitivi nelle zone a prevalenze democratica e viceversa.
Tranne le dieci maggiori, tutte le altre contee sono mediamente abitate e non esistono zone “vuote” come capita in altri stati prevalentemente rurali, per esempio nel Mountain West. Le grandi città e le contee più popolose si sviluppano sulla direttrice est-ovest della “Interstate-80” che taglia lo stato orizzontalmente, seguendo attraversando il confine orientale del Nebraska e passa per Des Moines e Davenport. È proprio questo “I-80 corridor” il nodo fondamentale per vincere in Iowa: chi riesce a prevalere nel corridoio, si aggiudica lo stato. Ma la classica tattica democratica di concentrare i propri sforzi nelle metropoli e nei grandi distretti urbani qui non funziona.
Malgrado la tendenza ad abbandonare le campagne per le città, il 40% della popolazione abita ancora in contee rurali e si occupa della coltivazione delle grandi distese pianeggianti tra i fiumi. In generale, le contee orientali tendono a votare democratico, ma senza garantire grandi margini di vantaggio. I “blue-collar Democrats” lavorano nell’industria dell’automobile o in altre aziende manifatturiere, a Dubuque e Davenport. Iowa City, sede della University of Iowa, è invece una classica città “liberal”. I candidati democratici forti vanno bene anche al Sud, ma le contee al confine con il Missouri hanno un comportamento elettorale più incostante: Obama, ad esempio, ha perso in tutte le contee meridionali vinte da Clinton negli anni Novanta. Gli elettori repubblicani sono stragrande maggioranza nelle contee dell’Ovest, dove l’agricoltura è ancora l’asse economico portante.
L’Ovest è ideologicamente e culturalmente molto simile al vicino Nebraska e dunque strutturalmente “social conservative”. Questa tendenza si accentua al Nord-Ovest, dove domina la cosiddetta “destra religiosa”: perfino in un anno disastroso come il 2008, in contee come quelle di Lyon, Sioux, Osceola, O’Brien e Plymouth le performance del Gop oscillano tra il 65% e l’80%. Le contee centrali sono invece le più competitive. Al di fuori di Des Moines (la capitale), la maggior parte dell’Iowa centrale è zona rurale e tende a votare repubblicano. La contea di Polk, invece, dove si trova appunto Des Moines, vota di solito democratico, ma il distacco sui repubblicani non è mai troppo vistoso. Quando i “colletti bianchi” votani più numerosi dei “colletti blu”, anche Polk torna in palio. Proprio il voto del Gop in questa contea fa la differenza alle elezioni di mid-term che, nel 2010, portano alla vittoria il candidato repubblicano Terry Branstad contro il governatore democratico uscente, Chet Culver.
Le previsioni per il 2012 non sono semplici. E anche i sondaggi danno i due sfidanti in parità. La crisi agricola degli anni ’80 ha mutato profondamente la base elettorale dello stato e gli abitanti dell’Iowa che lavorano nel settore dell’agricoltura tendono a diminuire ogni anno. Malgrado la crescita demografica, i lavoratori delle fattorie sono passati dalle 86mila unità del 1982 alle 56mila del 1997, continuando a calare – anche se più lentamente – nei decenni successivi. Questo declino è compensato dai nuovi lavori legati alla finanza, all’high-tech e ai servizi in generale. Un processo, naturalmente, accompagnato anche da una minore omologazione degli orientamenti politici.
L’Iowa rimane uno stato sui generis. Malgrado sia il dodicesimo stato più rurale dell’Unione, può vantare un reddito familiare nella media e un discreto livello di scolarizzazione: circa il 91% dei residenti con più di 25 anni ha conseguito almeno la maturità, una caratteristica che pone l’Iowa al settimo posto tra gli stati più “istruiti” della nazione. Anche la competizione elettorale, nell’Hawkeye State, assume contorni diversi da quella negli altri swing states. Se in Pennsylvania o in North Carolina i partiti devono soprattutto riuscire a portare alle urne il proprio elettorato di riferimento, in Iowa devono combattere per conquistare il voto “indipendente”. Devono, insomma, corteggiare un gran numero di moderati che attendono di essere convinti: nelle liste ci sono più elettori registrati come indipendenti che come repubblicani o democratici. E il vantaggio nelle registrazioni accumulato da Obama nel 2008 è stato colmato quest’anno dai repubblicani, grazie al lavoro sul campo precedente e successivo ai caucus di gennaio.
Obama può fare affidamento su un basso tasso di disoccupazione (5,3% contro l’8,3% nazionale), ma dovrà combattere contro la crescente disaffezione di quei “blue collar” di razza bianca che – non solo in Iowa – sono stati particolarmente colpiti dalla crisi economica. Al presidente servirà un turn-out giovanile su livelli analoghi a quello del 2008. Ma il voto under-30 (il 17% del totale), se è stato fondamentale per il presidente quattro anni fa, lo è stato anche due anni dopo per consentire al candidato repubblicano di conquistare la poltrona di governatore. I giorni dell’abbondante+11% rifilato da Obama a McCain, insomma, sembrano essere passati. E a novembre, in Iowa, si tornerà a combattere duramente, voto per voto.
(8/continua. Nella prossima puntata: la Pennsylvania)