Le ombre del generale
“Andrà molto peggio prima di migliorare”. Queste furono le parole del Generale David Petraeus quando, terminato l’impegno in Iraq, si apprestava a gestire la crisi afghana da comandante in capo delle operazioni. L’eroe americano per eccellenza, il generale può amato e rispettato degli Stati Uniti mostra il volto umano e la caduta dell’eroe è cronaca. Una storia che non piace al popolo americano.
Si tratta del più classico dei copioni da spy-story. Lui, lei e l’altra. Poi la moglie Holly, tradita senza onore. Una vicenda che fa invidia agli scandali sessuali esplosi nello studio ovale dell’amministrazione Clinton. L’immagine del Petraeus senza macchia lascia spazio al pubblico ludibrio di chi, aprendo il giornale, scopre le pecche, i vizi e le azioni grottesche commesse. L’intreccio si svolge a cavallo tra due mondi, quello del distretto di Columbia e gli scenari geopolitici internazionali. Tutto è in ballo perché Petraeus ha messo la faccia su quasi ogni campagna militare avviata negli ultimi anni dagli States.
Da Caesar del XXI secolo a ex eroe. Paula Broadwell è la sua biografa, amante dagli anni del ritiro da Baghdad. Fine 2007. Celebre personaggio da talkshow, accusata di aver violato la casella postale elettronica del generale. Accede a diversi documenti classificati, mettendo a rischio la sicurezza nazionale, e viene a conoscenza di piccanti mail che Petraeus scambia con un’altra donna. L’altra è Jill Kelley, 37 anni, e un posto in primo piano nella catena di comando e controllo delle forze armate.
Si parla di cyber stalking decine di messaggi ogni giorno. E sembra certo che qualche sfogo “sessuale” sia capitato durante gli impegni all’estero del generale. Lo scambio di email intercettate dagli agenti dell’Fbi non lascia molti dubbi. Il Federal Bureau indagava sulla possibile fuga di notizie dall’Agenzia già da mesi e poco a poco si trova di fronte a un panorama sempre più ingarbugliato. Fino a che, nei giorni scorsi, l’inchiesta non è diventata di dominio pubblico. Il comportamento del generale americano viene condannato, e non sta a noi dire se quanto riportato dalla stampa sia davvero il pensiero di un uomo innamorato o di un militare frustrato e psicotico. Il contenuto è molto spinto, ma ciò che interessa è che queste lettere sono di dominio pubblico e che portano alle dimissioni di quello che veniva considerato il genio della strategia americana nel dopo-9/11.
Lo scandalo si intreccia con un’altra vicenda politicamente rilevante. L’11 settembre (di quest’anno) il consolato americano di Benghasi, Libia, viene assaltato da un commando terroristico. Il paese è in piena campagna elettorale e gli attacchi si moltiplicano contro Obama e la sua amministrazione. A causa dei ritardi imbarazzanti con cui viene riconosciuta la vera natura dell’attacco. Non solo il grido musulmano contro un video blasfemo su Maometto, ma un vero e proprio attentato terroristico largamente pianificato. In effetti, oggi in molti si chiedono se sia stato il capo della Cia ad aver peccato. Ad aver taciuto. Non è possibile definire dove e se le informazioni di un potenziale attacco si siano interrotte all’interno del sistema d’intelligence americano. Le dimissioni del generale di certo fanno riflettere, ma le ombre dell’uomo non possono di certo far dimenticare le imprese e le missioni compiute dall’eroe.