Pazzi nel deserto

Dunque, come ampiamente previsto l’Assemblea generale ha approvato la risoluzione che sancisce per la “Palestina” all’Onu lo status di «Stato osservatore non membro». Hillary Clinton ha bollato il voto come «controproducente» per il processo di pace. Ancor più duramente ha reagito Israele: «Andando all’Onu i palestinesi hanno violato gli accordi (di Oslo, ndr), agiremo di conseguenza». «Grande delusione» è stata trasmessa dall’ambasciata israeliana a Roma per la scelta dell’Italia. Dalle ricostruzioni di stampa di questa mattina emerge che:

1) più che dalla presunzione di rilanciare il processo di pace, la scelta del governo italiano di votare “sì” è stata dovuta alla preoccupazione di non restare indietro rispetto agli altri Paesi europei del Mediterraneo nei «buoni rapporti» con i Paesi arabi. Altro che pace e questione palestinese, una scelta d’amicizia!

1a) ha giocato un ruolo anche l’idea di indebolire il premier israeliano Netanyahu in vista delle prossime elezioni politiche. Ma la mia sensazione è che, invece, alla lunga questo voto lo rafforzerà e radicalizzerà le posizioni dell’opinione pubblica israeliana. E’ comunque scandaloso che Netanyahu venga equiparato ad Hamas come ostacolo alla pace.

2) gli Stati Uniti avevano chiesto all’Italia di votare “no”, ma Obama non si è speso personalmente per convincere gli alleati europei. E per il fatto che non ci sono stati «contatti ai massimi livelli», il nostro sì «non si è trasformato in una questione di vita o di morte». Un altro successone di Obama, insomma.

3) il governo italiano, come conferma anche stamattina il ministro Terzi, ha concesso il suo sì all’Anp a tre condizioni: accettare che il riconoscimento dello Stato palestinese può arrivare «solo ed esclusivamente» attraverso il negoziato e l’intesa diretta tra le parti; non sfruttare il nuovo status per adire la Corte penale internazionale; impegnarsi a riaprire «immediatamente» il negoziato con Israele «senza pre-condizioni». Le stesse condizioni erano state poste da altri paesi europei, come la Gran Bretagna, che però si è astenuta, perché l’Anp non ha accolto, almeno ufficialmente, nessuna di queste tre condizioni. E anzi, è evidente anche ai più sprovveduti osservatori che l’insistenza dei palestinesi per ottenere il nuovo status all’Onu è dovuta precisamente all’obiettivo di usarlo per esercitare ulteriore pressione giuridica e politica su Israele, anche ricorrendo alla Corte penale internazionale.

4) ed emergono, infine, inquietanti risvolti dal punto di vista istituzionale: se è vero che Napolitano ha avuto un peso determinante sulla decisione del governo, allora siamo fuori – per l’ennesima volta – dal dettato costituzionale: o l’attuale e i futuri presidenti della Repubblica rientrano nel ruolo previsto dalla Costituzione, oppure diventa urgente cambiare la loro legittimazione prevedendo l’elezione diretta e popolare del capo dello Stato. Ed è accettabile che il governo abbia ribaltato la politica mediorientale senza il pronunciamento del Parlamento che l’aveva espressa, non 10 anni fa ma in questa legislatura? Sarebbe interessante, inoltre, capire se c’è anche il ministro Riccardi dietro questa scelta: la Farnesina è stata esautorata dal Vaticano e dal Ministero degli esteri di Trastevere, la Comunità di Sant’Egidio, da sempre filo-araba e filo-islamica?

Ma veniamo ai principali argomenti a sostegno del sì alla risoluzione:

1) la soluzione dei “due stati per due popoli” alla base della posizione favorevole di molti degli stati europei non è stata nemmeno citata da Abbas nel suo discorso all’Onu.

2) si concede questo riconoscimento ad Abbas perché “moderato”, ma nel frattempo Israele resta oggetto del lancio dei missili da Gaza? E’ pensabile far compiere passi avanti ad un processo di pace in questo modo? Servirebbe l’impegno di tutte le fazioni palestinesi – Hamas compresa – non solo quello (solo presunto) dell’Anp. Come ho cercato di spiegare nel post di ieri, al di là delle migliori (o peggiori) intezioni, l’effetto di questo voto non è sganciare la causa palestinese da quella di Hamas. L’unica cosa che si sgancia è la questione – su cui non sono affatto contrario in linea di principio – della statualità, di uno Stato palestinese, dalla questione sicurezza ed esistenza di Israele. Se la prima viene affrontata, muove passi avanti, al di fuori della bilateralità, e “gratis”, senza che tutte le fazioni palestinesi si impegnino ad assicurare a Israele sicurezza e diritto all’esistenza, si priva Israele dell’unica arma negoziale al di fuori della sua forza militare. A me sembra chiaro e lapalissiano, ma mi sento sempre più un pazzo nel deserto.

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