Emirati digitali
La World Conference on International Telecommunications può suonare strana. Come strana potrebbe essere la domanda: di chi è Internet? Dal 3 al 14 dicembre gli esperti mondiali del settore parteciperanno alla conferenza organizzata dall’Itu (International Telecomunication Union), un’organizzazione figlia delle Nazioni Unite, per decidere se il futuro dello spazio cibernetico debba cambiare.
La rete è neutrale per definizione, niente padroni assoluti. La rete è orizzontale. Non prende posizione, come una piazza senza controllori e senza una voce unica. Ma chi gestisce il traffico, chi garantisce i servizi, quali sono i loro interessi? E quanto può essere pericolosa una piazza senza regole, anarchica e senza alcun limite? Se fosse davvero reale quell’ipotesi. Questo è solo uno degli argomenti di cui si parlerà nell’Emirato Arabo ed è un aspetto del problema che va oltre il mero diritto alla privacy o alla proprietà intellettuale. Si parla di milioni di dollari di traffico. E di potere.
Nell’epoca in cui tutto è digitale, nello spazio in cui ciò che non lo è sta solo cercando la strada per diventarlo è giusto porsi un problema di regolamentazione, tenendo a distanza lobby di settore, multinazionali e strapotere degli stati. Sembrerà un controsenso, ma il vertice servirà anche a questo. Un incontro, quindici giorni di discussione sotto la guida dell’Onu in cui si affronterà il tema della rete, dei rischi e delle immense risorse che si trova a gestire.
Alcuni l’hanno chiamata mega conferenza sullo status delle telecomunicazioni in 193 paesi. Fino ad oggi, la rete è stata monitorata pressoché unilateralmente e senza un riconoscimento internazionale dall’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers ), una partnership pubblica-privata che risponde al dipartimento del Commercio americano.
L’Icann ha compiti di controllo su nemmeno un decimo del traffico internazionale, dedicandosi soprattutto a ciò che avviene in casa propria. Non esistono al momento altre agenzie internazionali che hanno compiti specifici su tali tematiche. Washington ha pochi interessi a modificarne il regime esistente e dello stesso pare sono molti tra internauti e padri fondatori della rete. Voglia di potere, paura di bavagli incidono di sicuro su cosa accadrà, anche se da Dubai difficilmente si arriverà ad una svolta epocale. Si paga la debolezza decisionale dell’organizzazione internazionale.
C’è chi pensa a uno sviluppo “sostenibile” della rete. Chi crede, come il segretario generale dell’Itu Hamadoun Touré, che “Internet rimane largamente un privilegio del mondo ricco”. E afferma che la sua organizzazione voglia cambiare le cose per garantire investimenti in infrastrutture, per aiutare più gente ad avere accesso. Ma è solo un’altra faccia del problema. C’è chi teme che il web possa uscire mutilato dalla conferenza. Google e Vint Cerf, uno dei padri di Internet, sono di questo parere e si battono contro qualsiasi regolamentazione.
In questo gioco rientrano attivisti e studiosi che lamentano mancanza di trasparenza. Il fatto che i documenti siano a disposizione degli stati, ma che non siano consultabili sul web, scatena le loro critiche. La stampa non è da meno e riviste autorevoli di settore gridano allo scandalo. Il Times e Forbes si fanno sentire schierandosi al loro fianco. Quest’ultima titola: “Perché le Nazioni Unite stanno cercando di prendere il controllo di internet?”. Niente di più falso, si cerca di dare un senso ad un sistema rimasto selvaggio e dipendente dal più forte. Ma poco importa. A loro si potrebbe rispondere: “Perché chi controlla internet, controlla il mondo”. Sarebbero soddisfatti.