La qualità si lascia pagare?
Un esperimento per un paio di mesi, una scelta editoriale da un paio di giorni: il britannico The Daily Telegraph ha introdotto il paywall per il suo sito. L’utente potrà visualizzare un massimo di 20 articoli al mese gratuitamente, dopodiché dovrà pagare. Due le tariffe: con una sterlina e 99 centesimi al mese (20 all’anno) avrà accesso illimitato al pacchetto digitale del quotidiano e all’applicazione per gli smartphone, mentre con 9 sterline e 99 centesimi al mese (99 pounds all’anno) avrà accesso all’intero pacchetto digitale anche sui tablet. Un mese di prova garantito al lettore che infine potrà fare la sua scelta.
Per i critici del paywall è un suicidio: “Guardate quante notizie del Times vengono condivise…”, recitava uno dei tweet apparsi poco dopo l’ufficializzazione del sistema di pagamento, sottolineando quel legame che si è ormai creato tra il mondo dell’informazione e quello dei social media per cui più una notizia è condivisa, più avrebbe successo. In realtà il paragone non regge dal momento che al Times il paywall è totale: non si può consultare un numero limitato di pezzi, come invece accade con il Telegraph. Tim Montgomery, il factotum di Conservative Home, ha detto la sua, ricordando come ad esempio nei punti della catena Costa Coffee si possano prendere le copie gratuite del free press Metro: se tanto la gente è disposta a pagare un caffè (un espresso si aggira sulle due sterline) per una copia del quotidiano, perché a questo punto non spenderne qualcuna per “sfogliare” il Telegraph?
Il gruppo editoriale del Telegraph da tempo è all’opera per adeguarsi ai nuovi meccanismi che regolano i media: ha strutturato la redazione in modo tale che le diverse sezioni convergano fisicamente verso un unico central desk che coordina le attività per l’on line e il cartaceo. Si è guadagnato il titolo di Website of the year secondo critica e lettori, concorrendo con il Guardian (a proposito, ora si attendono le contromosse del quotidiano laburista). Tra il 2008 e il 2009 ha lavorato ad una delle più importanti ed enormi inchieste giornalistiche spulciando i rimborsi spese dei parlamentari britannici, riservando un’intera stanza della redazione a cronisti, inviati e ricercatori per portare a compimento l’opera. Ora tenta la sorte per dimostrare che la qualità paga. E si lascia pagare.