L’appeasement occidentale in Ucraina
In tre mosse, la Russia di Vladimir Putin ha atterrato il nuovo governo ucraino nel peggiore dei modi immaginabili: con un’invasione militare. Prima ha fomentato disordini militari in Crimea, poi ha mandato truppe in incognito (senza mostrine) a occupare i punti chiave della penisola e infine, mentre questo articolo viene scritto, ha inviato un ultimatum all’Ucraina: o resa o invasione armata. Se anche si possa giustificare, in modo ben poco credibile, l’intervento russo in altre aree (per la Cecenia vale il principio della “questione interna”/“integrità territoriale” per la Georgia vale la “provocazione militare” del piccolo esercito georgiano in Ossezia del Sud contro tutto l’esercito russo), l’invasione dell’Ucraina, un Paese indipendente e sovrano, a partire dalla regione della Crimea, è un atto di imperialismo vecchio stile, senza alcun appiglio al diritto internazionale e senza alcuna giustificazione politica o legale. In Crimea non c’è stato alcun referendum, non si è votato, la popolazione locale non si è espressa in alcun modo, il Cremlino non ha parlato del problema dei suoi concittadini all’estero in alcun forum internazionale (né all’Onu, né altrove), ma Mosca ha deciso unilateralmente di “proteggere” i russi ivi residenti, mandando l’esercito. Mentre questo articolo viene scritto, all’ultimatum russo non è stata data ancora alcuna risposta, né dall’Ucraina, né dagli Usa, né dalla Gran Bretagna, cioè le due nazioni che, dal memorandum di Budapest del 1994, si sono prese la responsabilità di garantire l’integrità dei confini ucraini.
L’unica risposta, informale, viene da un ex ambasciatore britannico a Washington, che alla Bbc commenta: “Io penso che ormai dobbiamo accettare il fatto che non vi sia alcun modo, né alcuna forma possibile di pressione che possa essere esercitata per indurre i russi a ritirarsi dalla Crimea”. È un commento non ufficiale, appunto, che contrasta con le formali dichiarazioni di John Kerry sulla difesa dell’indipendenza ucraina. Ma proprio perché informale, nella sua semplicità britannica, questo ex ambasciatore riassume meglio di altri la realtà della Nato: un’alleanza totalmente impotente. Da bravo cacciatore ed ex agente del Kgb, Putin ha fiutato sia la paura che l’impotenza di questa vecchia alleanza, che promette protezione ma, al momento buono, abbandona il protetto nelle braccia del nemico. E il presidente russo ha dunque ritenuto di avere carta bianca per un’invasione. Per un qualcosa che non si vede dai tempi in cui Stalin si pappò Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia orientale in una manciata di mesi. Se avesse fiutato un minimo di determinazione dall’altra parte della nuova cortina di ferro, il novello Stalin del Cremlino non sarebbe neppure arrivato a mandare truppe in territorio straniero, a ridosso dell’Europa, nel cuore del sistema difensivo della Nato.
D’altra parte, alla domanda “cosa mi fai?”, Barack Obama ha risposto con incredibile leggerezza che “forse” la Russia sarebbe stata boicottata al prossimo G8. Obama non si era neppure consultato con gli altri 6 che compongono il gruppo e ha fatto la pessima figura di sentirsi rispondere con un “no” al boicottaggio dalla potente e influente Germania. Solo ieri mattina, i G7 (tutti tranne la Russia) paiono aver trovato un minimo di accordo, ritenendo il caso di “sospendere” i preparativi per il prossimo vertice, che dovrebbe essere ospitato proprio dalla Russia, a Sochi. Di fronte a un simile grottesco balletto diplomatico, Putin ha capito che può fare quello che vuole.
Ora, in Italia ci sono tantissimi fan di Putin che giustificano e ammirano ogni sua mossa, anche se dovesse invadere l’Italia (e paradossalmente questi fan sono proprio in quella destra che fino a poco fa era anti-sovietica), ma la debolezza di questa alleanza occidentale, la sua impotenza di fronte a qualunque sfida degna di nota, la sua incapacità di esprimere un parere unanime e deciso persino di fronte alla peggior aggressione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, dovrebbero preoccupare chiunque. Oggi la Russia si prenderà la Crimea. Domani la Cina si prenderà Taiwan, o le isole Senkaku a spese del Giappone. Dopodomani un qualunque sedicente Califfo rivendicherà la Sicilia. E tutti saranno perfettamente persuasi che, da noi, non troveranno alcuna opposizione.
Il problema grave, terminale, che soffrono le democrazie occidentali, si chiama appeasement. La volontà di trattare a tutti i costi e di non aver alcun “asso nella manica” da giocare al momento buono, alcun deterrente che possa far paura al nemico. Il problema è vecchio, appunto, lo si vede dai tempi in cui si fronteggiavano Hitler e Stalin. Ma l’appeasement di oggi è molto più recente. Nasce dagli anni ’90, quando Clinton mandò una serie di inutili avvertimenti militari ad Al Qaeda (qualche missile cruise qua e là, qualche inconcludente caccia a Bin Laden) e quella rispose prima bombardando le ambasciate a Nairobi e Dar Es Salaam, poi danneggiando il caccia Uss Cole e infine attaccando il cuore dell’America, colpendo impunemente Washington e New York. L’appeasement odierno nasce dal complesso di inferiorità di George W. Bush, che invase Afghanistan e Iraq dopo l’11 settembre e passò tutti gli anni successivi a chiedere scusa, sotto i colpi di una campagna pacifista senza precedenti. Risale al 2008, all’invasione russa della Georgia: un Paese che chiedeva aiuto alla Nato e venne sdegnosamente scaricato. Risale alla politica del Reset con la Russia, voluta da Obama nel 2009-2010: avete invaso la Georgia? Tenetevela! Non volete lo scudo anti-missile in Europa, nel nostro territorio? Va bene, lo rimandiamo e lo ridimensioniamo, come volete voi. L’appeasement di oggi risale anche al 2011, all’intervento, senza piani e senza strategia, in Libia: 8 mesi di bombe nel deserto per buttar giù un dittatore senza esercito e poi, dopo Gheddafi, il Paese è nelle mani delle milizie e nessuno se ne interessa più. Un ambasciatore americano ci è morto e gli Usa non hanno reagito e hanno coperto i loro stessi errori, dando la colpa a un poveraccio copto che aveva girato un filmino su Maometto. L’appeasement di oggi è causato anche dalla “linea rossa” in Siria: Obama aveva detto “niente uso di armi chimiche, o interveniamo”. Assad ha usato le armi chimiche. E Obama ha scoperto di non avere i numeri, né all’Onu né al Congresso, per intervenire. (E meno male: altrimenti avrebbe combattuto al fianco di Al Qaeda, senza nemmeno rendersene conto).
Ecco, è di fronte a questa debolezza, confusione, assenza di vitalità, assenza di scopi e interessi condivisi dell’Occidente che noi dovremmo avere paura. Molta paura. Ormai, in Crimea, la crisi è andata troppo oltre. Intervenire ora vorrebbe dire farsi male, rischiare una guerra con la Russia. La lezione ci è già stata data per l’ennesima volta. La vogliamo imparare?