USA 2014. Un voto contro lo statalismo
Conferma alla Camera, trionfo al Senato, vittoria nella maggior parte degli Stati: il 4 novembre, è stato il giorno dei repubblicani. Dopo queste elezioni di Medio Termine, Barack Obama è diventato un’anatra zoppa, dovrà governare senza più una maggioranza in entrambe le camere del Congresso e senza il sostegno della maggioranza dei governi locali che compongono gli Stati Uniti.
I nostri media hanno analizzato in lungo e in largo le ragioni della sconfitta di Obama, ma lo hanno fatto all’italiana: c’è chi strilla contro la vittoria dei “ricchi” (ma i grandi sponsor vogliono più spesa pubblica e un’economia più “verde”, dunque votano i democratici o i più sinistrorsi fra i candidati repubblicani) e c’è chi constata la debolezza del presidente in politica estera (ma, anche qui, a votare per il Congresso ci va soprattutto chi è attento all’economia, non tanto alla politica estera, per cambiare la quale si deve attendere il 2016 per il rinnovo del presidente). È vero che questo voto passa come un referendum pro o contro Obama, ma non esageriamo. Il Congresso viaggia su logiche differenti.
Più che un referendum contro Obama, è stato un referendum contro l’Obamacare, il cavallo di battaglia di questa amministrazione. Dopo un anno di rodaggio, troppe cose non hanno funzionato nella nuova sanità americana. Ha fatto cilecca il software per l’acquisto delle nuove polizze, che era appaltato a un’impresa fedele a casa Obama. Non ha funzionato bene la transizione fra le vecchie e le nuove polizze e molti americani, invece che ritrovarsi coperti a un prezzo minore, hanno perso la precedente copertura e hanno dovuto pagare di più per comprare la successiva. Soprattutto non ha funzionato l’effetto calmiere: i premi assicurativi salgono invece che scendere.
È stato un referendum contro la performance economica di questa amministrazione. Il muro contro muro per l’innalzamento della soglia del debito pubblico, arrivato a sfiorare la soglia record di 18mila miliardi di dollari, ha fatto male soprattutto ai democratici, benché tutta la colpa venisse addossata all’opposizione repubblicana. Lo “shutdown” del 2013, la chiusura di parte dei servizi forniti dal governo federale, nelle intenzioni di Obama avrebbe dovuto gettare discredito sui repubblicani, colpevoli di non scendere a compromessi sul debito pubblico. Invece è stato un boomerang. In generale, il muro-contro-muro ha provocato nel pubblico americano un senso di generale disaffezione nei confronti del Congresso. Ma a pagare sono stati soprattutto i politici che rappresentavano l’amministrazione, oggettivamente responsabili della situazione. La ripresa economica, da un punto di vista quantitativo, esiste: più posti di lavoro (la disoccupazione è passata dal 9% al 6,3% in due anni) e più crescita (il Pil aumenta di 2,5 punti quest’anno e si prevede +3,5% l’anno prossimo). Ma i suoi effetti non sono ancora percepiti dalla maggioranza degli elettori. Un sondaggio Gallup effettuato prima del voto rileva che il 41% degli americani ritenga l’economia in fase di miglioramento, contro un 54% di pessimisti.
Questo voto ha chiaramente bocciato la filosofia statalista dei democratici e dell’amministrazione Obama. Più ancora che i voti al Congresso, lo dimostrano i risultati di alcuni referendum sulle tasse, effettuati sempre il 4 novembre. Nel Massachusetts il 53% degli elettori ha bocciato la proposta di indicizzare le tasse sulla benzina, legandole all’inflazione. Nel Wisconsin, l’80% ha votato contro il finanziamento del sistema di trasporti pubblici tramite le tasse sulla benzina. Nel Nevada, sempre l’80% ha votato contro l’introduzione di una tassa del 2% sui margini di profitto, che avrebbe dovuto finanziare la scuola pubblica. Nel Tennessee, il 66% ha votato per introdurre nella costituzione statale il divieto di introdurre tasse sul reddito. In Georgia, il 74% ha votato per introdurre nella costituzione statale un tetto massimo di tassazione.
No alla sanità di Stato, no alle tasse, no al debito: il messaggio degli elettori americani è chiarissimo. Basta solo prenderne atto.
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