Italy, Where Dems’ Dreams Die
“Mi raccomando non fate come gli italiani”. Ce lo ricorda un libro dal titolo inglese: “Italy, where Dems’ Dreams Die” (Leo Media, formato e-book), che vuol dire “Italia, dove muoiono i sogni dei Democratici”. Non dei democratici intesi come abitanti ed elettori delle democrazie, ma Democratici del Partito Democratico statunitense. Sono loro, infatti, ad essere tentati di imitare il modello sociale ed economico europeo, anche italiano, trasformando l’America in un sistema molto più statalista di quel che è oggi. Non si tratta, dunque, dell’ennesimo esempio di pregiudizio anglosassone anti-italiano, perché si parla di sistemi economici, non di costumi. Si mettano il cuore in pace coloro che cercano di trovare i soliti luoghi comuni dei “visti dall’America”, tipo pizza, mandolino, mafia e corruzione. Non troverete nulla di tutto questo. Ma c’è anche un altro dettaglio: il libro è scritto da un italiano, Matteo Borghi, comasco trapiantato a Milano (non a New York, dunque), giovane giornalista della testata online L’Intraprendente.
Matteo Borghi, è già difficile scrivere un libro in italiano. Perché mettersi a scriverlo in inglese, rivolgendosi a lettori americani?
Per descrivere loro la vera situazione italiana. Questo perché gli Stati Uniti sono ancora un Paese con un livello di tasse, spesa pubblica e debito pubblico decisamente inferiore a quello dello Stato italiano, in rapporto alla loro economia. Ma stanno avanzando nella nostra stessa direzione. Quel che volevo fare era mostrare agli americani fino a dove potesse arrivare lo statalismo: fino alla distruzione delle attività produttive, al soffocamento della libertà individuale. Penso sia utile mostrare loro un paradigma negativo, quello che non devono fare. Sostanzialmente: l’Italia
Non era meglio mostrare agli italiani un paradigma positivo?
Lo si può fare, solo leggendo ciò che di negativo c’è in Italia. Se sappiamo che in Italia abbiamo più di 800 miliardi di spesa pubblica all’anno, la maggior parte dei quali non vanno a finanziare servizi, sappiamo che si deve cambiare marcia. Questo credo che sia un buon modo per indicare quale sia il sistema giusto: dare al privato la possibilità di competere, di agire sul mercato, di cercarsi da solo finanziamenti, di sviluppare imprese e dare lavoro coi propri soldi.
Una parte del sistema Italia che i Democratici americani ci invidiano è la Sanità…
Perché evidentemente non la conoscono. Loro invidiano l’idea che si sono fatti della sanità europea, il concetto astratto di servizio sanitario pubblico. Pensano, magari, che si possa garantire una buona salute a tutti senza che nessuno paghi. Quello che non sanno, ma dovrebbero sapere, è che la Sanità italiana è una delle più inefficienti del mondo industrializzato. Magari paghiamo un costo pro-capite un po’ inferiore rispetto alla sanità privata statunitense, ma il costo che dobbiamo sopportare, comunque, non è corrisposto da un servizio decente. Basti pensare a quel che c’è in Calabria, Sicilia, Puglia, dove i malati vengono stipati in corsia perché mancano posti letto. Il problema è sistemico: hai uno Stato che preleva i soldi dalla fiscalità generale e li affida nelle mani di chi non è direttamente interessato all’efficienza del servizio che eroga, perché non deve affrontare alcun tipo di competizione. Questo sistema in monopolio genera inevitabilmente inefficienze e sprechi.
Quali altri esempi negativi possiamo offrire agli americani di sinistra?
Sicuramente il peggiore è il nostro sistema pensionistico. Peggiore anche per il suo costo: circa 300 miliardi di euro, più di un terzo dell’intera spesa pubblica. Quel che fa più impressione è la sproporzione nelle pensioni. Il sistema retributivo (che vale ancora per chi è andato in pensione, o ci andrà fra non molto, prima della riforma contributiva, ndr), dà a tutti di più rispetto a quel che si è versato. Ma soprattutto: dà di più a chi riceve di più. Mi spiego. Chi oggi prende una pensione di 500 euro al mese, ha versato contributi per 420 nel corso del suo lavoro. In percentuale ci ha guadagnato un 20% circa. Chi prende 3000 euro, invece, nella sua vita lavorativa ha versato per 1600 euro, dunque ci guadagna quasi il doppio. Altro che “sistema che aiuta i più deboli”! E’ il classico esempio di creazione di privilegi istituzionalizzati, ammantati di valori solidali. E’ un sistema ingiusto, non solo nei confronti di chi prende 500 euro al mese, ma soprattutto delle giovani generazioni di lavoratori che non sanno ancora se e quando andranno in pensione, e che tuttora devono pagare per mantenere pensionati che hanno smesso di lavorare a 50 anni, o anche a 40. Solo una riforma di privatizzazione del sistema pensionistico potrebbe sanare la situazione: si riceve quel che si è risparmiato e investito in fondi pensione privati.
Negli Stati Uniti hanno anche una scuola quasi interamente privata, contrariamente al nostro che è quasi interamente pubblico. La sinistra americana crede che il nostro sistema sia più equo. Lo è?
In Italia la scuola privata esiste, ma le famiglie che la scelgono per i propri figli devono comunque pagare la scuola statale. Per cui c’è l’idea che la scuola di Stato si debba per forza pagare, è un obbligo, anche se si decide di non usufruirne. Non mi sembra un sistema equo. Sarebbe meglio privatizzare interamente il sistema, piuttosto, e, al massimo, fornire un voucher alle famiglie che non ce la fanno da sole a sostenere il costo. Se ogni scuola avesse il proprio budget e la possibilità di espandersi o fallire, come qualunque azienda privata (come avviene anche con le free schools inglesi), aumenterebbe l’efficienza dell’istruzione. Vi sarebbe, se non altro, uno sforzo maggiore per attrarre più famiglie/clienti. In questi mesi Renzi sta cercando di mettere una pezza alle falle dell’istruzione pubblica, ma come spesso accade, la pezza è peggiore del buco, perché i soldi non ci sono. Abbiamo strutture scolastiche che cascano a pezzi, come abbiamo visto a San Giuliano di Puglia: 26 bambini morti, una tragedia che si sarebbe potuta benissimo evitare solo con controlli più adeguati.
Ma se noi ci rivolgessimo di nuovo agli italiani, oggi come oggi c’è qualcuno, fra i leader politici in competizione, che indica l’America come modello positivo?
Non esiste un “partito americano” in Italia, attualmente. Vediamo nessun cambiamento a sinistra, salvo qualche slogan che si trasforma, superficialmente. E, invece, assistiamo a una grossa involuzione nella destra. Una involuzione verso forme sempre più spiccate di statalismo, anti-americanismo ideologico, tentativi di tornare a cosiddetti valori tradizionali, nazionali e locali, che possono anche andare bene, ma non se ammantati di un’ideologia nemica del mercato. Non c’è un partito degli “americani”, ma credo che esista ancora una grossa fetta di opinione pubblica che guarda agli Stati Uniti (non particolarmente a Obama, magari, ma all’America come modello) come ad un esempio da imitare e seguire.
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