When the shit hits the fan
Questo è un paese grottesco. Nel 1992 una parte della magistratura decise di mettere fine ad un sistema politico. Era un sistema politico corrotto e ladro, sia chiaro, ma quella magistratura colpì un po’ a casaccio e un po’ facendo attenzione a non colpire certi bersagli. C’era gente che finiva in carcere preventivamente per mesi, c’era altra gente che girava con valigie piene di soldi e niente da dichiarare. C’era un paese pieno di doppiopesismi e di gente che non poteva non sapere. Poi c’era gente che sapeva, ma a loro nessuno chiese conto. Un pezzo di Italia doveva ancora nascere politicamente, un pezzo stava alla finestra. Altri due pezzi si guardavano in cagnesco. Da una parte c’era chi comprendeva la drammaticità del momento e di una torquemada giudiziaria che rischiava di buttare via il bambino con l’acqua sporca. C’era gente che cercava di ripristinare un minimo di legalità per combattere l’illegalità e non comprendeva le campagne moralizzatrici a colpi di veline passate alla stampa, di Brosio appostato a Palazzo di Giustizia e di carcerazioni preventive. Poi c’era gente in piazza, agitava guanti bianchi mostrando presunta pulizia delle mani. Alcuni di loro mostravano il cappio. Facevano il tifo per un Pubblico Ministero, Antonio Di Pietro. Poi il Pm entrò in politica e ci fu anche chi pensò di farlo ministro o di stringerci un’alleanza strategica. Peggio di Chamberlain a Monaco, c’era qualcuno che pensava di dar da mangiare al coccodrillo sperando di essere morso per ultimo. Quasi vent’anni dopo la storia si ripete, perché qualcuno della storia si dimentica. Si dimentica che in Italia le indagini sono private e il processo pubblico (e non viceversa) e si dimentica che nessuna indagine, nemmeno la più importante significa, di per sé, condanna. Si dimentica dei tre gradi di giudizio e della terzietà della corte. In tutto questo baillame di processi mediatici e ditini alzati c’è chi avrebbe ancora voglia di fare politica e di parlare d’altro. Ma gli hanno spiegato che c’era, prima di tutte, una questione morale da risolvere. E andava risolta con le maniere di un tempo. Sui giornali, in piazza, a colpi di baionetta televisiva. Per mesi qualcuno ha pensato nuovamente di cavalcare quell’onda che diventa onta: di moralismo, mezze verità, frasi accartocciate sui nastri delle intercettazioni. E per mesi qualcuno ha pensato che sì, sarebbe successo di nuovo. Che un ondata di fango potesse seppellire gli avversari e far ricominciare la rumba. Così si sono messi lì – sempre quelli del cappio e dei guanti bianchi – e hanno acceso il ventilatore, iniziando a spargere nell’aria il fango quotidiano: Caliendo, Verdini, Dell’Utri, Berlusconi, Bondi, Matteoli. Ci sono più nomi sui giornali e sui siti di Fondazioni e Pensatoi che non nei registri degli indagati delle Procure. Poi, un giorno, il ventilatore si gira di scatto e lancia fango dove non deve. I moralizzatori si alzano e dicono “non ci sto”. Come qualcuno, in quel lontano 1992. Così, però, è troppo facile.