Fakebook
Su Facebook vengono «regolarmente soppresse» dall’influente sezione “trending” del social network (per ora disponibile solo nei paesi di lingua inglese) molte notizie pubblicate da testate “di destra” o di potenziale interesse per i lettori di orientamento conservatore.
La bomba è stata sganciata ieri da un sito insospettabile come Gizmodo (del network Gawker), noto perché si occupa di tecnologia da un punto di vista più a sinistra della sinistra. Eppure è stato proprio un giornalista di Gizmodo, Michael Nunez, a svelare (grazie alle rivelazioni di un ex dipendente Facebook) quello che molti americani “non di sinistra” sospettavano da tempo. E cioè che la sezione “trending” della creatura di Mark Zuckerberg non è affatto una raccolta neutrale delle news che circolano con più insistenza sul social network, ma un assortimento di notizie scelte da redattori in carne ed ossa. Una selezione che naturalmente viene influenzata dalla sensibilità e dall’orientamento politico degli editor di turno, in larga maggioranza ostili alle idee conservatrici.
In teoria non ci sarebbe niente di scandaloso, se non fosse che – a differenza che nei giornali, tradizionali e non – la “linea editoriale” di Facebook non è esplicita, ma occultata dietro le alchimie di un algoritmo di cui nessuno conosce i reali meccanismi di funzionamento. Un algoritmo che però, ai redattori della sezione di “notizie diventate recentementi popolari su Facebook”, serve poco o nulla. Perché sono loro ad avere potere assoluto sulla scelta delle notizie da somministrare a 167 milioni di utenti (soltanto negli Usa): sono loro che decidono quali notizie far sopravvivere, quali occultare e quali introdurre nella sezione anche se fino a quel momento ignorate dagli utenti di Facebook.
«A seconda di chi fosse di turno – ha svelato (fornendo tutte le prove del caso) l’ex dipendente di Menlo Park a Nunez – qualcosa veniva fatto sparire o inserito a forza tra i “trending”». News sugli scandali dell’amministrazione Obama, ma anche sui personaggi come Mitt Romney, Glenn Beck, Ted Cruz o Scott Walker, insomma, venivano segnalate dall’algoritmo deputato a scoprire gli argomenti più caldi su Facebook, per poi scomparire tra le pieghe del cyberspazio dopo l’intervento dei redattori. «E notizie pubblicate da testate di destra ( Breitbart, Washington Examiner, Newsmax) venivano ignorate fino a quando non erano riprese da testate mainstream».
Altre notizie, poi, come quelle favorevoli al movimento Black Lives Matter (che accusa le forze dell’ordine di accanirsi contro la comunità afroamericana), sarebbero state inserite a forza nella sezione “trending” anche senza essere particolarmente diffuse sul social network. «Un caso significativo – commenta il giornalista di Gizmodo – visto che quasi tutta la copertura mediatica del movimento è nata in base alla sua presunta forza di comunicazione sui social media».
Il cerchio si chiude, insomma. Notizie che ci sono, ma che non dovrebbero esserci, vengono fatte scomparire con un click. Mentre altre, che dovrebbero esserci (secondo i soloni dell’informazione corretta), vengono fatte trangugiare obtorto collo a una platea che ormai sfiora i 2 miliardi di persone. E che in larga parte, proprio sui social network, cerca le notizie in base alle quali orientare le proprie scelte elettorali.
Non è solo un problema di Facebook, anche se la passione con cui Zuckerberg ha recentemente tessuto le lodi del movimento Black Lives Matter rappresenta, francamente, una “coincidenza” piuttosto inquietante. Google e Twitter, tanto per fare i due esempi più vistosi, hanno dato negli ultimi mesi la sensazione di volersi incamminare sullo stesso, pericoloso, sentiero. Privilegiando sempre più esplicitamente l’informazione “politicamente corretta” rispetto all’informazione tout court. Si tratta di società private, che hanno tutto il diritto di scegliere le linee editoriali che preferiscono. Basta che la smettano di nascondersi dietro a una maschera di neutralità tecnologica che è stata, ormai, ripetutamente e clamorosamente svelata.
© Il Giornale dell’11 maggio 2016