In ricordo di Marco Biagi

Emmanuele Massagli ha 33 anni, è presidente di Adapt, il centro di ricerca sui temi del lavoro fondato da Marco Biagi. Qualche giorno fa, in un incontro al Senato, ha ricordato (insieme a Maurizio Sacconi, Michele Tiraboschi, Giuliano Poletti e Tommaso Nannicini)la figura del giuslavorista scomparso ormai 14 anni fa. Emmanuele non ha conosciuto personalmente Biagi: quando il professore è stato assassinato in Via Valdonica, Massagli frequentava la quinta liceo. Le valutazioni che ha espresso durante il convegno “Marco Biagi: la persistente attualità di una visione e di un metodo” sono, però, talmente azzeccate da rendere banale qualsiasi altro tentativo di ricordo.

E’ giusto raccontare Marco Biagi. E’ giusto farlo per chi c’era e per chi non ha avuto la fortuna di conoscere quel professore mite capace, grazie alla sua visione, di determinare scelte di politica pubblica senza cui oggi l’Italia sarebbe un paese nettamente peggiore.

Ma oltre il disegno sul futuro, lo slancio al lungo termine e oltre la semplice tecnica legislativa c’è quel metodo, così attuale e così moderno, che Massagli ha evocato come la vera eredità di Marco Biagi. L’idea che un mercato del lavoro migliore si possa costruire non tanto facendo buone leggi o imponendo buoni modelli ma anche e soprattutto lavorando con le persone e per le persone. Biagi sapeva bene, e per questo venne isolato da molta parte dei “professori” universitari, che il mercato del lavoro del futuro non si costruisce neanche con gli articoli sulle riviste scientifiche ma provando a incarnare il cambiamento di cui tanto,troppo si è scritto e parlato. Uso l’esempio di Emmanuele: per cambiare le relazioni industriali non è necessario scrivere da fuori che cosa non va ma lavorare per cambiare chi vivrà le relazioni industriali. Discutendo un po’ meno, magari, ma costruendo insieme percorsi destinati a durare nel tempo perché, anche con punti di partenza diversi, fondati su solide basi comuni.

Il metodo Biagi è stato anche e soprattutto l’attenzione alla sostanza, quel rifiuto del formalismo, giuridico e politico, più volte ricordato da Maurizio Sacconi. Oltre ogni legge e ogni norma, oggi accettiamo la realtà di un mondo che cambia e in quel cambiamento ricerchiamo condizioni migliori per i lavoratori. Non era così solo qualche anno fa quando la difesa dello status quo appariva l’ultima frontiera cui aggrapparsi per non aprirsi al rischio di un mondo nuovo. Marco Biagi ha disegnato quel mondo nuovo prima di molti altri, insegnando, non solo ai suoi allievi, come costruire un mercato del lavoro capace di valorizzare percorsi lavorativi e non di difendere unicamente posti di lavoro; di alternare formazione e pratica, scuola e lavoro, apprendimento e applicazione. Con l’obbiettivo non ideologico ma pragmatico di costruire un paese più giusto. Anche quando la sua visione sarà completamente realizzata – e c’è molta strada ancora da fare – la forza modernizzatrice del suo metodo continuerà ad avere un impatto grande almeno quanto il vuoto che ha lasciato.

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