La fine di un’epoca

La Guerra Fredda non finì da sola. Fu vinta. Il vincitore ha un nome e un cognome: Ronald Reagan. Spesso si ricorda il suo impegno nel sostenere la guerriglia anti-sovietica in Nicaragua, in Afghanistan, in Angola e nel Sud-Est asiatico. Quelle azioni furono fondamentali per logorare i fianchi dell’Unione Sovietica. Ancor più nota è la politica denominata Sdi (Strategic defence iniziative): l’annuncio della costruzione di uno scudo stellare per fermare i missili balistici sovietici, che poi non fu mai realizzato, ma che servì a terrorizzare i Sovietici e a svuotare le loro risorse militari nel tentativo di trovare delle contromisure impossibili.

Meno nota fu la strategia che portò direttamente al disfacimento dell’Unione Sovietica e che prende il nome da tre direttive fondamentali, firmate da Reagan dal marzo 1982 al gennaio 1983. La Nsdd 32 (National security decision directive) fu approvata da Reagan nel marzo del 1982: prescriveva, senza mezzi termini, l’autorizzazione di qualsiasi azione coperta necessaria a “neutralizzare” l’influenza dell’Unione Sovietica nell’Europa Orientale. La Nsdd 66, stilata da Roger Robinson, del Consiglio nazionale per la difesa e approvata dal presidente nel novembre del 1982, dava inizio a una guerra economica segreta contro l’Unione Sovietica, mirante a scardinare la triade strategica su cui si reggeva il già fragile sistema economico comunista: gas naturale, tecnologia e crediti finanziari dall’Occidente. La Nsdd 75, stilata dallo storico Richard Pipes, prevedeva di “contrattaccare” il sistema comunista ovunque fosse possibile, sfruttando ogni opportunità, al fine di “cambiare il sistema sovietico”. Quest’ultima direttiva riassumeva il senso delle precedenti tre: gli Stati Uniti non potevano accettare la coesistenza con un sistema totalitario e in piena espansione. E’ da notare, infatti, che qualsiasi concessione, qualsiasi politica di appeasement, precedentemente promossa da Eisenhower, da Nixon, o da Carter, era stata sfruttata ad arte dai sovietici per espandere la loro influenza nel mondo. Richard Pipes conosceva molto bene i sovietici. Sapeva che fin dai tempi di Lenin la loro dottrina rigettava la diplomazia tradizionale, prevedeva il rispetto degli accordi solo per prendere tempo, finché fossero risultati utili all’espansione della rivoluzione nel mondo, obiettivo che è sempre stato il cardine della politica estera e militare di Mosca dal 1918.

Le direttive furono messe in pratica fin da subito. Ne nacque una guerra segreta, combattuta senza inviare una sola unità militare statunitense, senza pubblicità e a costi relativamente bassi. In Europa, Reagan puntò da subito al ventre molle del sistema sovietico: la Polonia. Sostenne da subito il movimento di Solidarnosc, che prima era un grande sindacato riformatore e poi costretto dalla repressione sovietica a diventare un movimento clandestino anti-comunista. Reagan promosse ogni forma di assistenza: dalla vendita di T-shirt per il finanziamento volontario del sindacato al materiale per costruire stamperie clandestine, dal materiale per comunicazioni segrete, all’assistenza diretta dell’intelligence. Anche Israele fu direttamente coinvolta nelle operazioni coperte in Polonia. Il Mossad, infatti, gestiva una rete di informatori, la “Rat line”, dall’Albania fin dentro la Russia, costituita soprattutto da ebrei europei che fu fondamentale per aiutare gli americani ad agganciare i primi contatti umani all’interno di Solidarnosc e a importare in Polonia, via Svezia, il materiale più sensibile per le comunicazioni.

La guerra economica dichiarata all’Unione Sovietica fu dura fin da subito, anche prima che venisse approvata la Nsdd 66. Dopo l’instaurazione in Polonia del regime militare filo-sovietico del generale Jaruzelski, gli Stati Uniti imposero sanzioni all’Urss su tutti i prodotti di alta tecnologia. Richard Perle, che allora era un membro influente dell’amministrazione, aveva iniziato dal 1981 a girare per le capitali europee minacciando ritorsioni per chi avesse venduto alta tecnologia a Mosca. Con le buone maniere diplomatiche non furono ottenuti risultati: ai Paesi europei occidentali importava acquistare gas dall’Unione Sovietica e per questo era nel loro interesse vendere a Mosca le tecnologie sufficienti a completare i lavori del gasdotto siberiano. Il Consiglio per la sicurezza nazionale, allora, decise di passare alle maniere forti: il 18 giugno 1982 si estesero le sanzioni a tutte le aziende europee che agivano su licenza statunitense. Gli europei colpiti reagirono con durezza, ma i sovietici si ritrovarono all’improvviso privi di gran parte della tecnologia utile alla costruzione del gasdotto siberiano. Si intestardirono nel progetto, per motivi di orgoglio e dovettero moltiplicare gli sforzi per sostituire la tecnologia importata con quella locale, distraendo gran parte delle risorse finanziare e materiali impiegate altrimenti per grandi progetti infrastrutturali: un dispendio di energie che l’Urss non poteva permettersi. Negli anni successivi, la guerra economica contro l’Unione Sovietica, assunse un volto anche più duro. La sezione S&T (scienza e tecnologia) del Kgb era solita rubare progetti nelle aziende e nelle università statunitense ed europee. Gli americani pensarono bene di lasciare loro una gran quantità di progetti finti: vere e proprie bombe ad orologeria tecnologiche, quali turbine che dopo alcuni mesi cessavano di funzionare o creavano ulteriori danni, materiale industriale che cascava a pezzi dopo una prima usura, ecc…

I servizi segreti statunitensi impiegarono con molta cautela questa strategia. Nell’ambiente tecnologico i progetti circolano fra accademie e aziende e molti di questi sabotaggi rischiavano di tornare indietro e creare danni negli stessi Stati Uniti. Ma alla fine, ciò che diede il colpo di grazia all’economia sovietica, fu l’accordo con l’Arabia Saudita. William Casey, direttore della Cia, provvide a tessere pazientemente le relazioni con Re Fahd e la famiglia saudita. L’amministrazione Reagan vendette loro nuova tecnologia militare (primi fra tutti, gli aerei radar Awacs), promise loro aiuto in caso di guerra, amplificando le forze a disposizione per il Golfo e costituendo un comando ad hoc, il Centcom, per gestire eventuali operazioni militari nel Golfo Persico. Alla fine i sauditi, che erano sempre rimasti anti-sovietici, gli unici non condiscendenti alla linea di Mosca in tutta la regione, risposero come Washington voleva: abbassarono drasticamente il prezzo del petrolio. L’Unione Sovietica si ritrovò, all’improvviso, a non essere più competitiva. Fu un colpo durissimo per l’economia sovietica, da cui non si riprese mai più fino al suo collasso. Il prezzo che gli Stati Uniti pagarono per questo accordo con l’Arabia Saudita fu più caro del previsto. Già nel 1982, Re Fahd parlava a William Casey dei suoi progetti di espansione dell’Islam wahabbita nell’Asia Centrale e altrove. Casey fu condiscendente: l’Asia Centrale era il ventre molle dell’Unione Sovietica e bisognava, anche in quella regione, creare un forte alternativa al potere di Mosca. Nessuno, all’epoca, si sarebbe mai aspettato quale danno era in grado di creare l’Arabia Saudita e il suo appoggio all’espansione della forma più radicale e intransigente dell’Islam. Era un’altra guerra.

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