Giù la maschera

Alla fine la maschera è caduta. L’amministrazione Obama smetterà di difendere nelle corti federali il “Defense of Marriage Act”, la legge federale del 1996 che riconosce come matrimonio soltanto quello contratto tra un uomo e una donna. Ad annunciarlo, nel bel mezzo della battaglia sui tagli al budget e della crisi nordafricana, è stato il ministro della Giustizia, Eric Holder, che ha scritto una lunga lettera al Congresso in cui sostanzialmente afferma che il DOMA – approvato dal Congresso con una larghissima maggioranza (85-14 al Senato e 342-67 al Senato) e promulgato da Bill Clinton – è incostituzionale. “Dopo un’attenta riflessione – scrive Holder – il Presidente ha deciso che, visti i numerosi fattori, tra cui casi documentati di discriminazione, le classificazioni basate sull’orientamento sessuale devono essere sottoposte ad uno standard di scrutinio più severo (…) Il terzo comma del DOMA non raggiunge questo standard ed è perciò incostituzionale”.

Dopo due anni di ondeggiamento che gli sono costati le dure critiche degli attivisti per i gay rights, dunque, Obama prende finalmente posizione su uno dei capitoli “dormienti” più scabrosi della culture war. Insieme ai prevedibili peana della sinistra progressista, la decisione dell’amministrazione è stata accolta con il sorriso sulle labbra anche da molti giuristi e commentatori del mondo conservatore, che vedono nella scelta di Obama un atto di chiarezza politica. Per Ed Whelan, analista della National Review e presidente del think tank Ethics and Public Policy Center, fino ad oggi l’amministrazione Obama aveva solo “fatto finta” di difendere il DOMA nei tribunali per “sabotare l’esito delle cause sulla sua costituzionalità”. “La decisione – conclude Whelan – ha almeno il merito di portare questo sabotaggio allo scoperto”.

Altri studiosi, di impostazione più libertarian – come Orin S. Kerr, professore alla George Washington University – che pure non vedono di buon occhio il DOMA (perché toglie potere agli stati per favorire il governo federale), sono invece convinti che la scelta dell’amministrazione democratica rappresenti un grave abuso di potere da parte dell’esecutivo. “Con questo tipo di approccio – scrive Kerr – qualsiasi presidente potrebbe rifiutarsi di difendere la legislazione approvata da una maggioranza a lui opposta politicamente. E questo aumenterebbe i poteri della Casa Bianca in maniera sproporzionata rispetto a quelli del Congresso”. La fantasia non può non andare immediatamente verso uno scenario con un presidente repubblicano di fronte all’Obamacare. “Abbandonando il DOMA – spiega Curt Levey, presidente del Committee for Justice – il presidente non ha più l’autorità morale per affermare che tutti i funzionari pubblici devono far rispettare la legge sulla riforma sanitaria finche la Corte Suprema non ha deciso che è incostituzionale”.

Legittima o meno, la scelta di Obama avrà comunque un profondo impatto politico in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Con un job approval tornato ai (bassi) livelli pre-Tucson e un’economia che non sembra dare cenni di miglioramento, Obama ha assolutamente bisogno di ricompattare e motivare la base elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca, anche a costo di offuscare prematuramente la patina neo-centrista che il presidente aveva provato a darsi dopo la batosta delle mid-term. La sua, però, è una scommessa molto rischiosa. Nei sondaggi, infatti, quella che a lungo è sembrata una “marcia trionfale” dei sostenitori del gay marriage si è bruscamente interrotta verso l’inizio del millennio, quando i primi stati hanno iniziato a rendere legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La crescita del numero di persone favorevoli ai matrimoni omosessuali, che dopo gli anni Settanta era stata molto rapida, è ormai fase prolungata di stallo e da oltre un decennio non riesce a sfondare la soglia del 40-42% sul totale della popolazione americana. Questa percentuale, insoltre, sembra scendere leggermente ogni volta che la questione torna al centro del dibattito politico. In più, oltre a motivare la sinistra del suo partito, la decisione di Obama ha riacceso in meno di ventiquattr’ore gli animi di tutti i social conservatives, che stavano sonnecchiando in un periodo totalmente dominato dai temi economici.

Nella campagna elettorale del 2008, Obama aveva ripetutamente dichiarato di essere contrario ai matrimoni omosessuali (“God is in the mix”, disse una volta), anche se nessun repubblicano ci aveva mai creduto davvero. Oggi il vero Obama è finalmente venuto allo scoperto. Che abbia fatto la scelta giusta, però, è tutto da vedere.

(da Il Foglio in edicola oggi)

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