Marea Blu in Canada

Alla fine Stephen Harper è riuscito a vincere la sua scommessa. Inchiodato per 6 lunghi anni da un’ossessione degna del romanzo melvilliano, il Premier canadese è riuscito, infatti, a catturare l’agognata ed inafferrabile balena bianca: la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento federale. Coronamento trionfale di un ‘attivismo a dir poco frenetico nei (pochi) giorni di campagna elettorale successivi allo scioglimento improvviso, ma non inatteso, della massima assise legislativa del paese.

Con i 167 seggi conquistati ieri, i conservatori potranno tentare di concretizzare quel progetto di ristrutturazione complessiva già delineato nel decennio passato e non portato a termine causa la ferrea legge dei numeri. Saranno novità di non poco conto che investiranno quasi tutti gli ambiti di una società piuttosto restia ai grandi mutamenti. Innanzitutto a livello istituzionale dovrebbe essere abolito il Senato, considerato un intralcio all’attività amministrativa, e cancellato l’assai impopolare finanziamento pubblico dei partiti politici. Questi almeno gli intenti.

In economia via libera al taglio delle tasse per il big business con l’aliquota fiscale per le corporations portata al 15% dall’attuale 18. Tutto perfettamente in linea col paradigma reaganian-thatcheriano. In più, niente imposte di scopo o carbon tax, come nei desiderata degli ambienti più leftist e razionalizzazione della spesa pubblica senza, tuttavia, uno smantellamento del welfare piuttosto generoso, soprattutto a livello di governi locali.

In politica estera è scontata una conferma degli onerosi impegni assunti nella war on terror americana, in primis in Afghanistan dove il contingente canadese ha pagato un tributo piuttosto pesante nella campagna anti-taliban. Previsti, inoltre, investimenti importanti per aggiornare il già eccellente arsenale militare di Ottawa, soprattutto nei comparti aeronautico e navale.

Trattandosi di una forza politica che ha fatto della filosofia “law and order” un tassello irrinunciabile della propria piattaforma di governo, arriveranno tutta una serie di provvedimenti all’insegna del securitarismo.

Se la costruzione di nuovi penitenziari federali era largamente scontata ed incontrava un’approvazione popolare importante, preoccupa, invece, il giro di vite sulla libertà del web. Una tendenza purtroppo consolidata anche nelle democrazie sviluppate, nonostante il rifiuto abbastanza generalizzato della vastissima platea di utenti. Bisognerà vedere, tuttavia, sino a qual punto si spingerà la volontà “normalizzatrice” del neo-esecutivo. Certamente in un paese da sempre molto attento alle libertà individuali non sarà possibile esagerare con la censura, né dovrebbe essere interesse di una classe dirigente in fondo pragmatica abbandonare del tutto il sentiero del buon senso pur tentando di soddisfare la crescente esigenza di sicurezza.

Dedicata l’apertura, come di dovere, ai vincitori, resta da analizzare il quadro, peraltro assai interessante, dei restanti protagonisti della partita giocatasi nelle urne. Come spunto di riflessione principale tutti gli analisti concordano sul fatto che l’elezione odierna sancisca la nascita di un nuovo bipartitismo di sistema. Alla tradizionale dicotomia tra conservatori e liberal si sostituisce il nuovo tandem tra i primi e il Nuovo Partito Democratico, emerso prepotentemente come seconda forza del panorama politico nazionale. Si tratta di una forza inquadrabile nei canoni del laburismo o della socialdemocrazia classica europea, pur con delle peculiarità interessanti sul cotè più libertario. Presenti tra le issues del partito guidato da Jack Layton anche la depenalizzazione del consumo di droghe e l’impegno attivo in favore di minoranze come i nativi e la comunità LGBT. Scelte che, notoriamente, in diversi partiti socialisti  o progressisti del vecchio continente non sono, come dire, in cima alle priorità. Per il resto, molte ricette neo-keynesiane all’insegna del tax and spend, potenziamento della mano pubblica, multilateralismo diplomatico e revisione del trattato NAFTA che regola l’intesa libero-scambista col resto del nordamerica. Posizioni non esattamente nuovissime, è vero, ma che hanno reso magnificamente in termini di consensi portando l’NDP dai 37 deputati suffragati nel 2008 ai 102 attuali e dal 19% scarso all’oltre 30. Spicca, in particolare, il dato del Québec dove ben 58 constituencies su 75 si colorano di arancione.

A fare le spese di questa avanzata, che non possiamo che definire imponente, tutti gli altri partiti dell’establishment canadese ridotti quasi al rango di comprimari. A partire dai liberal, fino al 2003 padroni incontrastati a Ottawa come nelle province più influenti, Ontario e perlappunto Québec, che incassano una disfatta umiliante. Solo 34 esponenti dei 77 della vigilia torneranno a sedere in parlamento: il prezzo altissimo pagato all’irresolutezza della leadership ed agli scandali ripetuti che hanno investito pezzi grossi dell’organigramma. Scontata la dipartita di Michael Ignatieff, accademico onesto prestato alla politica con esiti deprecabili e schiacciato da una responsabilità troppo grande per lui.

A vivere di ricordi saranno anche gli indipendentisti del Bloc Québecois letteralmente annientati dallo tsunami NDP: dei 47 seggi riescono a conservarne a fatica soltanto 4! E pensare che,qualche anno fa, il referendum per la secessione di questa provincia francofona andò ad un soffio dal buon esito. Altri tempi: ora per gli irriducibili dell’Ecception québecoise toccherà lottare per la sopravvivenza, di sicuro non con lo screditato e tracotante Gilles Duceppe alla guida.

Resta da dire ancora del risultato storico dei verdi: per la prima volta un’esponente ecologista arriverà ad Ottawa spinta dal voto popolare. L’onore dell’impresa è andato alla leader del movimento , Elisabeth May, che ha strappato un collegio a Vancouver dalle mani del defending champion tory. Un premio di consolazione, a ben vedere, dato che un terzo dei voti greens ha preso altre strade.

In conclusione, dobbiamo dire che il terremoto di ieri avrà altre scosse di assestamento nei prossimi mesi. Si rinnoveranno, infatti, tra ottobre e novembre, ben 5 governi locali tra cui l’Ontario, l’Alberta ed il Saskatchewan. Potrebbe essere il capitolo finale di questa giornata storica o l’inizio della rivincita per gli sconfitti.

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