The Normal One
Quella di Francesco Guidolin è la storia straordinaria di un uomo normalissimo. Lo vedi passeggiare per Udine e ti sembra perfetto, te lo ritrovi in tv in prima serata e cogli il disagio di chi davanti alle telecamere non ci vuol stare. Ieri avrebbe potuto attribuirsi ogni merito per il miracolo di una Champions League raggiunta guidando una squadra che l’anno scorso si è salvata per un pelo, invece niente. Ha ringraziato tutti, quasi a dire che passava di lì per caso e che il risultato non è mica solo merito suo. Qualcuno, al suo posto, si sarebbe sperticato in auto-lodi.
Pacato nella sostanza e nella forma, è la faccia pulita di un calcio che almeno ogni tanto riesce ad identificarsi in modelli positivi. Chi scrive ne è follemente innamorato dal 1998, terza giornata di andata o giù di lì: Udinese-Salernitana. Il primo tempo di quella partita (2 a 0, doppietta di Amoroso) sono la sintesi perfetta di quel che si intende per “bel calcio”. Collettivo che gioca a memoria, squadra che si muove con armonia e leggerezza, nessuno che si pesta i piedi, campioni straordinari perfettamente inseriti in un contesto. Quella stagione finirà con una Champions sfiorata e il colpo di follia di Gianpaolo Pozzo che esonera Guidolin per affidarsi a Luigi De Canio. Non glielo perdonerò mai.
Guidolin ha predicato calcio in quei dodici mesi molto più e molto meglio di Spalletti, Galeone, Marino, Cosmi, De Canio e tutti quelli che sono passati di qui. Aveva ereditato una squadra arrivata terza e privata del duo Bierhoff-Helveg e si era inventanto il famoso “tergicristallo”: basta punte alte a raccogliere cross ma gioco di manovra con tre piccoletti (Amoroso-Jorgensen- Poggi) là davanti a produrre azioni e fraseggi. Fu capito poco. Chi l’aveva capito perfettamente è stato Zamparini, patron del Palermo: lo ha esonerato e se l’è ripreso ben quattro volte, perché di uno così puoi liberarti ma poi finisci per rimpiangerlo.
Nel suo girovagare la penisola (Genova, Palermo, Parma, Bologna) non si è mai scordato di ribadire una cosa, diventata poi un mantra: “Udine è casa mia”. Alla fine anche Pozzo ha dovuto cedere all’evidenza , riprendendosi il più bravo di tutti e lasciandolo libero di plasmare un giocattolo diventato modello.
La favola bella del mago di Castelfranco Veneto (ma udinese d’adozione) culmina in una calda notte primaverile qui a Nordest. Gli hanno sempre rinfacciato di non aver mai allenato una grande squadra. Lui del blasone se ne è infischiato e ha fatto grande l’Udinese, portandola nell’Europa che conta.