Uscire dal bunker

Il problema del Pdl, detto in due parole, è lo stesso del Pd , di Fli, dell’Udc: nessuno è in grado di dire che modello di Italia abbiamo in testa. Per molto (troppo) tempo, c’è stata identità pressoché totale tra Silvio Berlusconi e il programma politico del centrodestra. Poi, lentamente, si è manifestata tutta l’inadeguatezza di questo leader a guidare con piglio autoritario questo centrodestra. Impensabile, oggi, riproporre slogan e parole d’ordine che andavano bene nel 1994, nel 2001, nel 2006. Serve altro, ma questo benedetto “altro” non si vede.

Non cadiamo nel tranello di finire per esercitare del tafazissimo à la page. Non siamo i soli a non avere la più pallida idea di cosa fare. Fini, Casini, Bersani, tutti quelli che hanno in qualche misura un minimo di aspirazione a governare sono ancora lì a chiedersi quali ricette buttare sul tavolo per il paese. Le ultime amministrative ci dicono che vince sostanzialmente l’anti-politica, che in Italia si traduce in un movimento di critica anche aspra e sconclusionata a Silvio Berlusconi.

Superare Berlusconi, o perlomeno toglierlo dall’orizzonte politico della discussione, è la precondizione per iniziare a parlare del paese reale, delle partite iva, delle pmi, dei lavoratori. Il Pd ha, con ogni evidenza, qualche difficoltà a farne a meno: il Cav è il collante del centrosinistra molto più di quanto lo sia del centrodestra e i candidati più autenticamente anti-berlusconiani sono stati  gli unici veri trionfatori di questa campagna elettorale. Stesso discorso per Udc e Fli, i cui leader, dopo aver vissuto al traino del Premier, si sono costruiti una seconda verginità politica cimentandosi nel ruolo di Bruto e Cassio. Non era ancora Marzo ,però, e non gli è andata dritta.

Rimane il tema posto all’inizio: come uscire dal bunker e rilanciare un’azione politica degna di tal nome? Le primarie, la democrazia, i congressi, le consultazioni interne al partito sono tutti strumenti necessari a riaffermare un principio: che ci possono essere idee diverse, che vanno considerate, pesate, ponderate. Che va riconosciuta, in ultima analisi, una dignità anche al concetto di “minoranza interna”. Che non può ridursi nel logoramento estivo esercitato  da Gianfranco Fini un anno fa ma non può nemmeno limitarsi alla semplice sterilizzazione di ogni voce in distonia con la classe dirigente attuale.

Se le primarie servono a questo, a dare un po’ di sprint al dibattito interno e a recuperare nella partita tutti quelli che si sono allontanati in questi anni per la mancanza di uno spazio vitale di discussione, allora questo movimento ha ancora un senso. Se i gazebo e la partecipazione della gente finiscono per essere uno strumento di ratifica su scelte fatte da altri e in altre sedi, forse è meglio che iniziamo a pensare ad un altro partito.

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