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Un leader
Come al solito, come ai bei tempi andati delle convention in tempi di blairismo spinto, David Cameron divide. Non è un leader normale, non per come siamo abituati a conoscere i leader di partito in Italia. Mai dogmatico, poco ideologico, reticente a cercare l’applauso facile. Anche quest’anno, all’annuale meeting del partito, l’inquilino di Downing Street ha scelto di lanciare un sasso gigantesco nel non tranquillissimo stagno conservatore. Niente discorsi di maniera ma una lunga serie di provocazioni che faranno discutere, garantendo al buon Dave la necessaria centralità nel dibattito politico.
Partiamo da quella frase, molto meno importante delle altre ma certamente destinata a far discutere: “non sostengo le unioni gay nonostante sia conservatore ma proprio perché sono conservatore”. Una visione di società poco ortodossa per l’intelligencija militante del centrodestra europeo, eppure è una visione che ha una sua coerenza se inserita nel percorso che questo giovane leader sta facendo compiere al suo partito. Usciti da una condizione di minorità strutturale e trincerati dietro il mantra thatcheriano anni ’80, i Tories sono riusciti a tornare centrali nell’agenda politica britannica solo grazie a questo prodotto di un conservatorismo un po’ più fair e un po’ meno muscolare.
Detto di questo trascurabile dettaglio sulle unioni gay, torniamo al cuore del discorso cameroniano: un appello alle radici del Regno Unito, al suo spirito combattente e alla sua naturale tendenza a stupire. Non fosse premier in carica, con uno speech come quello di ieri, sarebbe pronto per scendere in campo alle primarie americane. Non è ottimismo speso a piene mani, ma consapevolezza di essere alla guida di un paese con mille problemi e altrettante risorse. Cameron elenca entrambe le cose, in un costante gioco di rimandi retorici che gli fanno citare quelli che dicono che il meglio è passato e quelli che pensano che debba ancora venire. Colloca i conservatori tra i secondi e rilancia l’idea di un movimento chiamato a rappresentare l’orgoglio di una nazione e, al contempo, a indicare la strada per la ripresa.
Solo le urne, tra qualche anno, potranno dire chi aveva ragione e chi torto. Tutto, però, si potrà sostenere, tranne che questo Cameron non sia un leader pronto a giocarsela.