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Toh, l’Iraq
Entro fine dicembre anche le ultime truppe americane rientreranno in patria. Guerra finita, quindi, e consegnata alla storia. Da quando George Bush ha abbandonato la Casa Bianca e Barack Obama si è insediato come “Commander in Chief” le luci dei riflettori sono uscite da Baghdad per far rotta su Washington. In Europa il dato va elevato all’ennesima potenza. Non abbiamo queste abilità di “media watching” ma sarebbe davvero simpatico analizzare il numero di articoli dedicati al fallimento iracheno apparsi prima di Barack Obama e dopo The One.
Da tempo, su questo ed altri blog, sosteniamo la necessità di quella guerra. Siamo decisamente isolati, sia a destra che a sinistra. E quella che doveva essere una delle principali linee di demarcazione tra schieramenti politici è diventato uno degli argomenti buono solo per chiudere i giornali quando il gossip politico non offre spunti interessanti.
Grazie a Dio c’è il Telegraph, che ogni tanto ci ricorda come dovrebbe comportarsi un giornale conservatore. ” Senza Iraq non ci sarebbe stata nessuna primavera araba” spiega Con Coughlin, mentre il Telegraph View di ieri è interamente dedicato alle opportunità che una fragile democrazia può cogliere in questi frangenti.
“The new Iraq faces many challenges – scrive il Telegraph – not least the need for the Shia majority to address the grievances of disaffected Sunnis and Kurds, as well as keeping Iran’s Islamist fanatics at bay. But it also affords many opportunities, not least for British companies, which risk being left behind by their European counterparts when it comes to building ties with this new state. We must all hope that the Iraqis take the right decisions now, so that the sacrifices of the past eight years have not been in vain.”